L’agricoltura sociale.
L’agricoltura sociale gode quindi, attualmente, di un periodo di grande considerazione da parte delle istituzioni pubbliche e private, e questo mette in evidenza come si stia delineando un nuovo modello di welfare che permette la nascita di rapporti di domanda di ruralità, e permette la valorizzazione di tradizioni storiche che ormai erano andate perdute.
La storia dell’agricoltura italiana moderna, e in particolare quella pugliese, trae le sue origini già nella negli anni cinquanta dell’ottocento, nel periodo delle grandi crisi, che avevano portato miseria, carestie ed un altissimo tasso di disoccupazione. Dopo quasi un decennio, in seguito all’unificazione dell’Italia, fondamentale per l’economia, e allo sviluppo delle vie di comunicazione, iniziò un reale processo di crescita dell’agricoltura. Nel 1861 l’agricoltura italiana era povera ma caratterizzata da una grande varietà di colture, come ad esempio nella Pianura Padana, nel quale si erano sviluppati assetti produttivi capitalistici in grado di unire l ‘agricoltura all’allevamento. Vaste erano le colture di cereali nel Nord, e molte erano le aziende a conduzioni familiare; nel centro Italia invece molto diffuso era il sistema della mezzadria che prevedeva una divisione della terra in appezzamenti di diverse dimensioni che venivano coltivati dai contadini e dai suoi famigliari, i quali dividevano poi il ricavato con il padrone, grazie ad una forma contrattuale che prevedeva anche la manutenzione, le spese e gli attrezzi agricoli.
L’agricoltura del Sud invece era divisa nelle colture di ortaggi e frutta, e nella realtà latifondista. Il latifondo è composto da grandi distese di campi di grano coltivati e amministrate ancora con canoni feudali, con rapporti di dipendenza personale tra signore e contadino. Quindi la seconda metà dell’ottocento vedono da un lato lo sviluppo dell’agricoltura, ma allo stesso tempo vedono un arretramento del settore industriale che non riuscì a capire l’importanza dello sviluppo ferroviario, tanto da poter incrementare i settori siderurgici e meccanici, come invece era avvenuto in altri paesi europei. La politica italiana ottocentesca, basa la sua idea sull’agricoltura come base della crescita economica, poiché vedeva nel settore primario l’unica fonte in grado di accumulare capitali che potessero rendere possibile il potenziamento della nascente industria e il suo sviluppo nel futuro.