Se non sei sempre connesso, sei out!
“Ma se ti porto nel bosco
Mi dici portami in centro
Perché lì non c’è campo, poi vai fuori di testa come l’ultima volta”
Parliamo di nomofobia.
Non è strano come spesso testi di canzoni riflettano situazioni attuali, e le parole di “ l’ Esercito del Selfie” sembra riflettere una problematica attualissima quanto in certi versi drammatica.
Un’esigenza talmente totalizzante, da generare ansia: l’ansia da smartphone, scientificamente nota in Italia come nomofobia.
Gli scienziati del National Institute of Mental Health nel Maryland l’hanno denominata FOMO, ossia “Fear Of Missing Out”, letteralmente paura di essere tagliati fuori).
FOMO o nomofobia: identikit “social”
Anche se il fenomeno è recente, l’acronimo FOMO compare per la prima volta nel 2004 anche se la sua coniazione risale al 1996 ad opera di Dr. Dan Herman, uno strategista di marketing.
Con tale acronimo si definisce una forma di “ansia sociale” , caratterizzata da un desiderio continuo di stare connessi.
Un’ansia che colpirebbe secondo i dati raccolti dal National Institute of Mental Health nel Maryland, almeno il 20% delle persone, 4% in forma grave.
Ad essere maggiormente soggette da questa nuova forma d’ansia sembrerebbero essere le ragazze, con una percentuale del 40%, mentre i maschi nel 26% dei casi non riescono a fare a meno di essere connessi.
( nella pagina seguente…l’ansia: alleata o nemica?)
L’ANSIA: ALLEATA O NEMICA?
Quante volte diciamo “combattere l’ansia”, “sconfiggere l’ansia”.
Come se fosse un nemico, un male tremendo che ci rovina la vita, una malattia.
In realtà di per sé l’ansia non è una malattia, bensì una reazione del nostro corpo davanti a uno stimolo ambientale specifico, associato a una mancata risposta di adattamento da parte dell’organismo in una determinata situazione, che si esprime sotto forma di stress per l’individuo stesso.
E’ una combinazione di emozioni (paura, apprensione e preoccupazione) alla quali si affiancano sensazioni fisiche come palpitazioni, dolori al petto e/o respiro corto, nausea, tremore interno.
Tutto questo è dovuto ad un’iperattività della componente simpatica del SNA (Sistema Nervoso Autonomo).
In particolare è stato evidenziato come vi possa essere una stretta correlazione tra i circuiti neurali di alcune aree cerebrali, come l’amigdala e e l’ippocampo, e a stimoli spiacevoli e potenzialmente dannosi in grado potenzialmente di generare una risposta ansiosa.
Quindi l’ansia sarebbe una risposta “protettiva” del nostro corpo.
(cosa succede quando la protezione si trasforma in un ostacolo? Scopritelo nella pagina seguente)
L’ANSIA: ALLEATA O NEMICA?
Ma cosa succede quando si verifica il contrario, ossia non ci protegge ma anzi ci impedisce di affrontare le situazioni?
In questo caso è più corretto parlare di disturbo d’ansia, in quanto da una risposta fisiologica si passa ad una forma patologica.
Una forma che non è più rivolta ad una determinata situazione di pericolo ma è generalizzata.
Una forma caratterizzata da risposte fisiche ed emotive: palpitazioni,tachicardia, sudorazione, nausea, spesso anche un distacco dalla realtà.
Proprio come accade nell’ansia da social, dove spesso si preferisce vivere in una “realtà parallela” costruita dai social network, rendendo spesso insormontabili le problematiche quotidiane.
Recentemente in Inghilterra è stato coniato il termine “nomofobia”, per indicare uno stato di paura incontrollata di rimanere disconnessi dal mondo tramite rete mobile (cellulare, tablet, Internet con social network annessi).
Uno studio inglese ha rilevato come più del 50% degli utenti manifestino uno stato ansioso quando “perdono il loro cellulare, esauriscono la batteria o il credito residuo o non hanno copertura di rete”.
Una cura a tutto questo? Esiste. Ma non si tratta di farmaci,bensì di psicoterapia focalizzata ad individuare l’origine dell’ansia.
(continua nella pagina seguente)
SCONFIGGERE L’ANSIA: MISSION NOT IMPOSSIBLE
La studiosa dell’Università di Cambridge Olivia Remes ha recente indicato in un suo studio (a breve sarà presentato al 30 ° Congresso Europeo di Neuropsicofarmacologia a Parigi) quattro differenti strategie per affrontare i pensieri negativi associati all’ansia.
STRATEGIA 1: FARLO MALE (do it badly)
Quante volte, quando facciamo o dobbiamo fare qualcosa di nuovo,siamo bloccati da un senso di inadeguatezza, che ci porta all’indecisione e il più delle volte a rinunciare a compiere quel passo pur di non farlo male?
Ebbene, stiamo sbagliando: quella non è la strada giusta.
Bisogna infatti mettersi nell’ottica che si può sbagliare, e che soprattutto sbagliare è umano,soprattutto le prime volte che ci si approccia a qualcosa di nuovo.
La stessa Remes afferma :
“ Imporci di farlo male, ci dà il coraggio di iniziare cose nuove, aggiungendo un pizzico di divertimento e riduce la preoccupazione sui risultati. Ci fa sentire più liberi”
STRATEGIA 2: ESSERE INDULGENTI (Forgive yourself)
Un altro “tratto distintivo” delle persone ansiose è la perenne sensazione di sentirsi giudicati sempre, come se la vita quotidiana fosse una performance continua in cui c’è sempre qualcuno che ci giudica.
E alla fine diventiamo noi giudici di noi stessi.
La soluzione ? Perdoniamoci,attraverso metodiche di mindfulness.
Non concentriamoci su quanto fatto, ma su quello che si sta facendo.
STRATEGIA 3: ASPETTARE A PREOCCUPARSI
Quando commettiamo qualcosa di male, se siamo ansiosi immediatamente ci preoccupiamo su quello che “abbiamo combinato” e ci rimuginiamo su.
Invece bisogna aspettare un pò, per permetterci di elaborare l’accaduto, con ansie e fallimenti annessi.
STRATEGIA 4: TROVARE UNO SCOPO NELLA VITA (MAGARI AIUTANDO GLI ALTRI)
Quanto tempo della nostra giornata dedichiamo a noi stessi? E quanto agli altri?
Sempre poco, se siamo in preda ad ansia o situazioni che ci riducono ad un disturbo d’ansia (vedi appunto la nomofobia).
SITOGRAFIA/BIBLIOGRAFIA:
http://www.wsbt.com/news/health/17263604.html