Alex Rossi e Margherita Giacovelli
Se dovessi immaginare di prendere un caffé con Giovanni Lucchese, lo ambienterei in uno di quei moderni british coffee di cui la Capitale è piena. La vita frenetica si veste perfettamente alla mentalità di questo figlio di Roma, e il luogo appare perfetto per una chiaccerata tra vecchi amici che non si incontrano da un po’. Giovanni vive la propria infanzia in quegli anni ’70 in cui la nostra Nazione aveva, inevitabilmente, iniziato il proprio irrecuperabile declino. Trascorrere la propria giovinezza proprio a Roma alla fine del vecchio millennio, tra lo scandalo Tangentopoli e la costruzione della nuova Italia di oggi, ha permesso a Giovanni di sviluppare una coscienza critica fuori dal comune, ed i suoi studi classici lo hanno portato a riversare la propria irriverenza ed il proprio sarcasmo in “Pop Toys”, una raccolta di raccolti edita per Alter Ego editore pubblicata nel 2016.
Ad appena un anno di distanza, l’autore romano si è cimentato nella stesura del proprio primo romanzo: “Questo sangue non è mio”, edito dalla stessa Alter Ego e che sta riscuotendo ottime recensioni sia dal pubblico, sia dalla critica.
Ed è proprio a proposito di questa nuova pubblicazione che oggi ci siamo accomodati al tavolino del british bar con Giovanni, con la curiosità di chi ha potuto leggere il libro e che cerca, parlando con l’autore, di ricavare qualche informazione in più, qualche passaggio che possa rendere una lettura avvincente ed appassionata, speciale.
– Tutti gli autori, durante la stesura dei propri romanzi, hanno avuto quel momento in cui è balenata la folle idea che poi si è tramutata nella trama stessa. Qual è stata la tua epifania? Che cosa ti ha portato a scrivere un libro come “Questo sangue non è mio?”:
Il momento esatto non saprei individuarlo, ma posso dirti che ho iniziato a notare, quasi per caso, quante persone parlassero da sole senza neanche accorgersene, o forse senza preoccuparsi di essere viste da qualcuno. Vivo in una grande città dove nevrosi e frenesia regnano sovrane nella vita di tutti, portando ad un progressivo isolamento e una chiusura in sé stessi spesso involontaria. Ho iniziato ad immaginare quali potessero essere gli effetti estremi di una situazione in cui una persona si trova a relazionarsi con una voce interna più che con il mondo che la circonda, e così è nato il seme del mio romanzo. All’inizio pensavo potesse essere un racconto breve, poi la storia ha preso piede ed è cresciuta dentro di me sempre di più, fino a diventare “Questo sangue non è mio”.
– E poi? Come sei riuscito ad evolvere una trama e personaggi così complessi? Cos’hai provato mentre raccontavi le loro vite e le loro storie?
Di solito amo dare vita a personaggi ironici, un po’ sfacciati, che codificano la vita attraverso il sarcasmo o il senso dell’umorismo.
In questo caso ho dovuto guardare in faccia una protagonista dal carattere oscuro, introverso, che affronta la vita con fatica e pesantezza. Una donna problematica e spesso incapace di sdrammatizzare quello che le capitava. La voce che ha in testa, l’Altra, con la quale si relaziona nell’arco della storia, rappresenta la mia parte dissacrante, ma fa da contrappunto ad una personalità molto grigia e lontana dalla mia.
E’ stato un viaggio interessante, malgrado a tratti fosse molto difficile cercare di osservare le cose da un punto di vista così diverso dal mio. Non nego che sia stata un’esperienza molto provante, spesso ho faticato a descrivere situazioni o emozioni nelle quali non mi riconoscevo molto, ma la considero comunque una bellissima avventura, un viaggio di ricerca, entusiasmante ma anche molto snervante.
Per farlo ho cambiato il mio metodo di scrittura, di solito amo essere circondato dalla vita frenetica e stimolante di un luogo affollato dove accadono molte cose contemporaneamente, ma in questo caso ho scelto di scrivere la storia di Carlotta nelle ore notturne e nel silenzio della mia casa.
E’ stato bellissimo, anche se per il momento non credo potrei farlo di nuovo.
– Appunto, Carlotta, una protagonista decisamente bizzarra, ma le cui peculiarità sono entrate nel comune modo di vedere le persone? Lei com’è nata? E’ una parte di te stesso che tenevi celata nel tuo inconscio o hai tratto ispirazione da ciò che ti circonda?
Carlotta è quella parte di noi che non si ama, che non riesce ad accettare i suoi difetti e che vive in un costante disagio ogni forma di interazione con il mondo che la circonda. E’ la bruttina della classe, la ragazza senza marito, l’ultima invitata alle feste, la meno considerata del gruppo. Tutti noi siamo stati Carlotta in qualche periodo della nostra vita, riuscendo nella maggior parte dei casi ad uscirne aggrappandoci alla nostra autostima o focalizzando la nostra attenzione sui nostri pregi piuttosto che sui difetti. Quando è nato il personaggio, per me era senza speranza, non vedevo via d’uscita per lei. Ma con lo scorrere delle pagine la storia ha preso una piega diversa, gli eventi sono evoluti in un modo che io stesso non mi sarei aspettato, quasi fosse lei stessa chiedermi di darle una possibilità di rivincita, una via d’uscita che, forse, alla fine della storia riesce a trovare.
Sono molto orgoglioso di Carlotta e del modo in cui anche lei, malgrado tutto, esca a testa alta da una situazione inizialmente priva di speranza.
-“Questo sangue non è mio” ha visto la luce appena qualche mese fa, ma sono certo che, vista la qualità della narrazione, ti abbia già dato diverse soddisfazioni. Hai qualche aneddoto da raccontarmi?
Ogni romanzo pubblicato è un orgoglio enorme: è come vedere nascere un figlio, dopo averlo desiderato e concepito, godendosi i primi passi che fa sulle proprie gambe. Le soddisfazioni più grandi le ho avute dai chi, dopo aver letto “Pop Toys” ha comprato il romanzo a scatola chiusa e lo ha divorato subito. Ricordo di una volta in cui affrontai un pubblico di quasi sole donne alla mia presentazione a Tirano, in Valtellina, in fila per fare foto con me neanche fossi un divo di Hollywood! E un messaggio anonimo, ricevuto sul web, di un lettore “misterioso” che ha definito Carlotta “diabolicamente divina”.
Per il futuro, al momento, mi riservo di veder crescere Carlotta, che come ogni figlio va seguito e accompagnato nei suoi primi passi da un genitore che si rispetti. Per questo sono impegnato in un giro di presentazioni sparse in tutta Italia. Per uno scrittore “giovane” è importante crearsi un pubblico di lettori fedeli, e il modo migliore per farlo è incontrarli, parlarci, scendere in campo ogni volta che si presenta l’occasione.
Sto comunque elaborando una nuova storia e raccogliendo idee per scriverla, ci sono quasi. Posso anticiparvi che si tratterà di qualcosa di molto diverso, un romanzo pieno di personaggi e che attraverserà molte classi sociali in modo trasversale. Con Carlotta abbiamo fatto le persone serie, ma prossimamente vorrei tornare a farvi sorridere!
Ringrazio Giovanni del tempo concessomi, e naturalmente, come per ogni buon ospite che si rispetti, mi riservo di pagare anche la sua consumazione tra mille proteste. Il momento delle chiacchere è terminato nella Città Eterma, ma spero di poterlo nuovamente incontrare presto, magari per la nascita del suo terzo figlio editoriale.
Ci salutiamo, come di consuetudine, e ognuno di noi imbocca la propria strada. La mia è costellata di nuovi autori da incontrare, da conoscere e da scoprire. Nell’attesa, mi godrò il boccone amaro, ma saporito, di “Questo sangue che non è mio”.