di Margherita Giacovelli ed Alex Rossi
Uscire dalla gabbia che imprigiona la propria esistenza.
Spezzare ogni catena rompendo gli schemi.
Distinguersi dalla massa.
Esprimere il proprio io.
Perché si è troppo abituati a pensare che sia oro ciò che luccica, ma in realtà spesso l’oro è proprio la cosa che, a primo impatto, brilla meno. Michele Salvemini, in arte Caparezza, ha fatto della propria capigliatura il suo simbolo, ma quello che la folta chioma nasconde è molto di più.
Una mente vivace e curiosa, pronta a cogliere le sfumature di un mondo contorto. Traduce la vita quotidiana in parole, in testi, in rime. Una poesia contemporanea e spesso all’avanguardia.
Caparezza è un’artista che sfugge dalla consuetudine. Vive di metamorfosi musicali, cercando di non adeguarsi mai alla massa, ma lasciando che sia la massa ad adeguarsi a lui. E, quando crede di diventare abitudine, cambia ancora. E’ questo che rappresenta “Prisoner 709”, una sua rivoluzione musicale e professionale, che si presenta come un’autobiografia lontana dai testi contestatori a cui ormai il suo pubblico si era abituato.
Sceglie di raccontare ai suoi fan, ed anche a sé stesso, il percorso di autoanalisi da lui compiuta partendo da una situazione di forte disagio e dolore che gli ha permesso, infine, di accettarsi.
L’album è uscito in contemporanea al singolo “Ti fa stare bene” che, sul web, ha già superato il milione e trecentomila visualizzazioni.
Il pezzo è la track numero 8 all’interno della scaletta dell’album, e rappresenta quella che, nel percorso di autoanalisi, è l’ora d’aria. Una sorta di pausa dal frenetico mondo a cui l’autore è abituato. Nonostante questa voglia essere un punto di rottura, si rivela invece un’epifania, perché, come ha dichiarato lo stesso Caparezza: “Ci sono concetti che solamente i bambini riescono ad esprimere meglio di qualunque adulto”.
Colpisce molto, di questo primo singolo, la forte vicinanza con i ritmi a cui Caparezza ci ha abituati, con temi rindondanti e ricorrenti nella sua carriera. La volontà è quella di mantenere un filo conduttore con tutto ciò che ha preceduto questo album rivoluzionario, discostandosene, ma non troppo.
Soffiano venti caldi, siamo rimasti in venti calmi,
e sono tempi pazzi, frichettoni con i piedi scalzi che
diventano ferventi nazi,
fanno il G8 nei bar, col biscotto e il cherry muffin,
sono esilaranti nel ruolo di piedi piatti, Eddy Murphy.
PRISONER 709
E’ il testo emblema dell’intero album, nonché il titolo stesso. Racchiude tutta la condizione di disagio dal quale è partito tutto il percorso introspettivo dell’autore.
Io sono il disco, non chi lo canta
Quasi a voler diventar egli stesso parte di tutto il mondo musicale che lo circonda e che, come afferma nel suo testo, lo ha rinchiuso all’interno di uno schema, una gabbia, che lo delude, lo nausea, lo avvilisce, ma dalla quale cerca di allontanarsi perché non gli provoca altro che repulsione.
Prisoner è un urlo di disperazione, è un uomo che ricerca il proprio io all’interno di una società che segue le mode, spesso non apprezzando i temi, la coerenza, ma librando alla semplice e mera ricerca della musica che più gli aggrada.
Caparezza non è solo musica. E’ quasi un viaggio dantesco nella selva oscura della musica, dove spesso la dritta via si smarrisce.
Lasciarsi dimenticare o farsi dimenticare?
E’ questa la domanda che l’autore si pone per tutta la durata del testo, e che alla fine lo porta davanti all’amletico dilemma: Michele o Caparezza?
Perchè, se Prisoner è il grido, 709 è la gabbia. Il numero gioca sulla ambivalenza tra persona e personaggio. La sua chiave di volta sta nel distinguere entrambi i ruoli regalando ad ognuno di essi una precisa identità e capendo quale sia realmente il proprio posto nel mondo.