In questi giorni a Londra è stata inaugurata l’opera The Great wall of Vagina delle scultore Jamie McCartney non ha bisogno di spiegazioni: è un muro di vagine.
Leggendo sue interviste per la rete, si capisce che dietro c’è uno studio attento, una ricerca e un nobile intento.
Ha trovato 400 donne disposte ad aprire le gambe perché una copia fedele delle proprie vagine fossero sotto gli occhi di tutti.
Questi 400 calchi uno di fianco all’altro creano certo un effetto d’impatto ma completamento privo di connotazione pornografica.
L’artista ha scelto che ogni calco fossi bianco proprio per rendere il risultato meno crudo e volgare, non voleva un esplicito realismo, voleva di più.
La costruzione delle sculture è molto minimalista. Volevo che i calchi parlassero da sé. Era necessario averne il più possibile, perché metterle una accanto all’altra evita che le persone si concentrino su ognuna singolarmente. È un modo per andare oltre le allusioni alla pornografia. I genitali, se considerati al di fuori del corpo, non sono per niente sexy, e quando sono così numerosi lo sono ancora meno. Inoltre i calchi completamente bianchi eliminano ogni questione di razza o colore. La loro omogeneità permette un confronto semplice e diretto con tutti gli altri calchi.
Care donne quante volte abbiamo benedetto la nostra vagina e quante volte l’abbiamo maledetta.
In Inghilterra sempre più donne ricorrono alla plastica vaginale, per molte è difficile accettare di non essere fedeli al modello che l’industria del porno ci ha mostrato sempre uguale a se stessa, standardizzata.
Questo muro è un regalo per ogni donna che si sente inadeguata solo perché non conferme a quanto le hanno insegnato. La questione care amiche si estende ben oltre le nostre mutande.
Credo che però come diceva Edgar Degas: “L’arte non è ciò che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri” e mi piace pensare che davanti a questo muro non si vedano solo organi riproduttivi.
Come coclude l’artista parlando dell’impatto della pornografia sulla nostra visione del sesso:
È ora che la nostra società cresca per quanto riguarda questi problemi e che tutti si rendano conto che quello che abbiamo tra le gambe è molto meno importante di quello che abbiamo in testa.