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Un caffè con Giorgio Biferali – Le interviste di The Web Coffee

Il mio tour nella Capitale sta giungendo al termine, e come ultimo assaggio di una vita culturale strepitosa, ho conservato uno dei più stupefacenti figli di Roma.
Se dovessi immaginare di prendere un caffé con Giorgio Biferali, lo ambienterei sicuramente a piazza Venezia, nel cuore della Città Eterna. Non potrei immaginare un luogo migliore per quattro chiacchere con Giorgio: ventinove anni e non sentirli, non per eccesso, ma per precocità. Scrittore e giornalista, cerca di dare una propria interpretazione sul mondo di oggi dalle pagine del Messaggero o del Fatto Quotidiano. O con i propri libri.
Giorgio Biferali ha letteramente divorato le tappe, grazie ad una preparazione fuori dal comune, a tanto ingegno ed alla sua sensibilità, unica. Riesce a spaziare dagli argomenti più banali, come i tormentoni estivi, a drammatiche interviste, come quella ad Edith Bruck, ex reduce di Aushwitz, con la leggerezza di chi pare essere venuto al mondo con il dono di raccontare. Lui è nato per scrivere, e riesce a farlo trasmettendo la propria idea. Una singolarità, nel mondo dell’indottrinamento social.
Talento e passione, poi, sono sfociati in una produzione bibliografica da sogno: dal “Viaggio a Roma con Nanni Moretti” (2015), ad “Amore controfigura del nulla – Andrea Manganelli” sino alla sua ultima fatica letteraria: “Italo Calvino – Lo scoiattolo della penna”, edito per La nuova frontiera Junior (2017).
Ed è proprio in merito a quest’ultima opera che oggi mi ritrovo seduto con lui sul pavimento di uno dei luoghi simbolo della Capitale. Piazza Venezia è un mercato di persone pieno di vita, è la perfetta incarnazione del cosmopolitismo. Qui si incontrano tutti: dal ricco al povero, dall’italiano allo straniero, dal turista al romano de Roma. Tutti a raccolta, a celebrare la magnificenza di una città che, tra mille difficoltà, riesce a resistere al trascorrere dei millenni. Un po’ come la scrittura di Calvino che, nonostante il tempo che passa, pare non passare mai d’attualità. Ora siamo solo io e Giorgio, con due caffè da asporto presi al bar più vicino, a guardare questo piccolo microcosmo mutare di secondo in secondo. Prendo coraggio, ed inizio a domandare del suo ultimo libro, del suo rapporto con Calvino, della sua passione per la scrittura.


Da dove nasce il legame viscerale con Italo Calvino? Cosa ti ha portato a studiare nel dettaglio questo personaggio?
Il mio rapporto con Calvino nasce durante l’estate del 2003, quella tra il primo e il secondo anno di liceo. È stata la mia prima lettura, intesa come obbligo, che è diventata un piacere. Sentivo che c’era una sorta di empatia tra di noi, ho amato fin da subito il suo sguardo, il suo modo di guardare le cose, e di rappresentarle.

Potresti dirmi cosa si cela dietro la definizione “lo scoiattolo della penna”?

– La definizione l’ho rubata al primo grande lettore di Italo Calvino, Cesare Pavese, che dopo aver letto il suo primo romanzo, “Il sentiero dei nidi di ragno”, diceva che Italo era uno scrittore capace di arrampicarsi sulle piante, “più per gioco che per paura”, avendo trasformato la Resistenza in una fiaba. A me quella definizione ha fatto pensare anche a un altro romanzo, Il “barone rampante”, al protagonista che passa la sua vita sull’albero, come se volesse trovare la giusta distanza per guardare le cose. Mi piace l’idea di un’esistenza così, a mezz’aria, sospesa tra cielo e terra.

In che modo Calvino potrebbe essere letto dalle nuove generazioni di studenti?

– Nel modo in cui l’abbiamo letto noi, ma con qualche strumento in più. Oggi loro possono capire davvero le sue “Lezioni americane”, quei messaggi rivolti al futuro, al nuovo millennio, in cui ci invitava a stimolare ogni giorno la fantasia, a non perdere la capacità di pensare a occhi chiusi con immagini che provengano da noi e non dai social o dalla pubblicità, a prenderci cura del linguaggio, delle parole, del pensiero, per non finire un giorno a scrivere le cose che scrivono gli altri, con gli stessi toni e la stessa presunta ironia.

Quali differenze ci sono tra l’Italia di Calvino e l’Italia di oggi? Come pensi che lo scrittore interpreterebbe i paradossi dei giorni nostri?


Calvino ha visto cambiare l’Italia più volte, dalla guerra al dopoguerra al boom economico degli anni Sessanta e così via, quindi non è così semplice trovare le differenze. Sicuramente c’era più lavoro, e quello dello scrittore veniva considerato ancora un mestiere serio. Oggi Calvino, nell’era dei social e delle apparenze, secondo me, sarebbe ancora più schivo di com’era allora, ma troverebbe comunque il modo giusto di raccontarci, e magari cercherebbe di farci capire che per tornare ad essere in mezzo al mondo, con gli altri, non abbiamo bisogno di così tanti mezzi di comunicazione. Perché in fondo, a pensarci bene, bastiamo noi.


Qual è l’opera di Calvino che ti ha più influenzato? Perché?

Forse “Il barone rampante” per la storia, per tutte le storie che racconta. Perché da una piccola ribellione infantile, non voler mangiare le lumache, dipende tutta una vita. Perché nella scelta del Barone ci vedo una forma di coerenza, un modo per rimanere fedeli alle scelte che facciamo quando siamo bambini, che forse sono le più importanti. E poi c’è una storia d’amore fantastica, fatta di attese, dispetti, nostalgie, ripensamenti e altalene, soprattutto umorali.

Prendiamo un attimo fiato. Giorgio Biferali, in poche battute, non mi ha dimostrato soltato quanta cura e dedizione ci vogliano per condurre certi tipi di studi, ma quanto amore sia possibile provare per determinati autori.
In particolare mi ha colpito molto la battuta di Giorgio sul mestiere di scrittore, per cui decido di approfondire l’argomento.

Esiste un modo per diventare scrittori?

Non credo che esista un modo, in realtà. O forse non credo che ne esista uno soltanto. Direi leggendo, comunque, per prima cosa, per cominciare a conoscerci, a capire cosa ci passa per la testa, cosa abbiamo dentro. È una questione di linguaggio, quindi, di pensieri, di sguardi, di sensibilità. Poi, nel momento in cui ne sentiamo il bisogno, possiamo provare a scrivere qualcosa di nostro, leggerla e rileggerla mille volte, anche a voce alta, per sentirne la musica, farla leggere agli altri, e ascoltare i consigli di chi se ne intende davvero, di chi insomma ci è già passato e sa come ci si sente.


Ai giovani scrittori in erba che vorrebbero intraprendere questa carriera, cosa consiglierebbe?

Di leggere, appunto, e di scrivere solo quando ne sentono davvero il bisogno. Non bisogna pensare alla scrittura come alla strada più facile per ottenere fama, successo e soldi. È importante non imitare nessuno e pubblicare solo nel momento in cui si trova una propria voce.

E’ possibile coniugare la letteratura tradizionale con il web ed i social media? Come?
Quali opportunità offrono tali strumenti?

Più che possibile: è una cosa che ormai succede da anni. Se la letteratura è anche raccontare storie, tutto quello che vediamo ogni giorno, dalle foto ai video condivisi ai racconti delle persone su Facebook e Instagram, un po’ ci somiglia. Ci stiamo inventando piano piano nuove forme di scrittura e di lettura, e questo mi piace. Certo, la vera letteratura per me si troverà sempre nei libri, quelli di carta, che si possono toccare, sfogliare, scarabocchiare, consumare. Anche gli e-book, in fondo, non hanno cambiato le cose, un po’ come le sigarette elettroniche, no?

Rido divertito per l’utlimo accostamento, e mi godo il mio caffé nel silenzio riflessivo che ha lasciato con le sue parole. Giorgio Biferali mi ha ridato speranza, nel vero senso della parola. Oggi siamo abituati a vedere un mondo completamente scuro e pessimista, con tutte le accezioni negative che questa realtà può trasmettere, invece esiste un altro taglio, un’altra prospettiva da cui guardare, un guado in cui si possono riporre sogni ed aspettative. Un foglio bianco ed una penna, non serve altro, e Giorgio me l’ha appena ricordato. Scrivere, non per fama o denaro, ma per raccontare.
Ringrazio lo scrittore, il quale rimane incantato ad ammirare la Città Eterna in tutto il suo splendore. Non voglio disturbare ulteriormente il suo sguardo, curioso e critico, sul mondo, e così decido di prendere la mia strada.
La mia avventura romana, ora, è giunta veramente al termine, ma confido che il destino mi riporterà ad abbracciare questo ampissimo e meraviglioso universo culturale.
Ho incontrato personaggi straordinari, da Giovanni Lucchese a Claudio Di Biagio, senza dimenticare Bigio.
Ma ora mi aspetta un treno che, come cantava Pelù, non ha destinazione.

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