Agente della Serenissima.
A Venezia si resero conto che intervenire militarmente sarebbe stato un suicidio: Napoleone non aspettava altro che un pretesto per dichiarare guerra alla Repubblica. Bisognava interferire con gli eventi in corso indirettamente. Si scelse dunque di trovare qualcuno che facesse gli interessi dello Stato, ma senza che fosse possibile collegarlo alla città lagunare. La scelta cadde sul nostro Pacchiana. Per mistificare, egli fu formalmente ricercato per furto. Agli occhi di un estraneo egli, condannato dai veneziani, non poteva certo agire in loro nome.
In valle le schermaglie continuavano. A Clusone i rivoltosi abbatterono l’Albero della Libertà, simbolo della Rivoluzione Francese. Vincenzo ed altri come lui aizzavano le folle, partecipavano a sparatorie e, soprattutto, tenevano il Leone informato di ciò che accadeva in loco.
Infine, dopo aver subito una dura sconfitta contro i montanari della valle Imagna, i francesi passarono al contrattacco: massacrarono i seriani, saccheggiarono Nese e Nembro, condannarono a morte 11 persone a Clusone, invasero e pacificarono prima la val Imagna, poi la Brembana. Nel frattempo, Venezia stessa era caduta nelle grinfie del “liberatore d’Italia”. Tutto era perduto.
Il nostro, che nel frattempo iniziava ad essere conosciuto con il soprannome di Pacì Paciana, si ritirò a vita privata. Aprì un’osteria a Zogno. Qui smerciava anche il tabacco di contrabbando che egli si procurava oltre all’allora vicino confine elvetico (la Valtellina era parte dei Grigioni). Ma non sarebbe durata.