La morte.

Qui trovò un brigante di origine meridionale di nome Carcino. Questi aveva in precedenza operato in val Seriana, ed era quindi conosciuto al Pacì. I due operarono per qualche mese assieme, taglieggiando alcuni signorotti della zona. In seguito, si ritirarono in un nascondiglio a godersi il malloppo e alternandosi nei turni di guardia. Era ciò che il Carcino aspettava: fingendosi amico del nostro aveva messo a segno dei colpi assai redditizzi, e che sarebbero stati cancellati quando avesse consegnato il corpo alle autorità. Una notte, mentre Vincenzo dormiva, il traditore lo pugnalò a morte. Dopodichè, mozzò il capo del cadavere e lo portò a Bergamo. Ottenne, come previsto, amnistia e ricompensa. La testa del Pacì fu esposta in Città Alta, dove avvenivano abitualmente le esecuzioni (la Fara, per chi conosca il capoluogo orobico). Era una fine ingloriosa, per un uomo capace di beffare la legge per un decennio). Era l’8 agosto del 1806.

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