Alla scoperta di Haridwar
Arrivai al ghat dove c’era anche la tradizionale catena immersa in acqua per permettere ai pellegrini di bagnarsi nelle acque del fiume sacro e subito la cosa che mi colpì fu la calca di sadhu, scimmie, cani, bancarelle di fiori,odore di incenso e quant’altro potesse rendere magico quel tardo pomeriggio.
Vidi il primo naga-sadhu: sono baba che non vestono nulla, ma sono ricoperti della cenere sacra di Shiva, se ne stava steso al centro del ghat, senza una gamba.
Un sadhu di mezza età si avvicinò a me dicendomi in perfetto inglese: tu sei molto malato, vieni con me al mio ashram e ti darò delle pillole ayurvedi che che ti cureranno.
Come al solito rimasi allarmato anche da questo incontro e la cosa mi scosse, ma aspettai sera sul ghat accanto alle acque gelide del Gange e poi tornai verso l’ashram che mi ospitava.
Era in corso la cerimonia serale nella grande sala coi pavimenti in marmo lucido e tutti cantavano e battevano le mani in lode a Krishna seduti a gambe incrociate.
Mi sedetti e presi parte alla cerimonia, poi, una volta finita, ci recammo nella sala mensa dove il cibo veniva servito da camerieri del villaggio: ragazzini di giovane età che spiegavano da cosa era composto il thali: il piatto tradizionale indiano.
Andai a dormire quella sera molto rilassato, in una atmosfera tranquilla, deciso a proseguire per Rishikesh, perchè l’unica persona che conoscevo era diretta lì, per il momento ero completamente solo, ma immerso in una atmosfera come al solito mistica e accogliente.
Nella mia mente scorrevano tutti i ricordi di quello che avevo visto sin dalla prima notte a Paharganj.
Il mio ritorno in Italia era previsto fra non prima di due mesi e avevo voglia di vedere più cose possibili, così decisi che il giorno seguente sarei già ripartito per Rishikesh: la città dei veggenti.