L’incontro con i sadhu
In viaggio verso Rishikesh.
La mattina che seguì quella notte trascorsa in ashram, mi sedetti a gambe incrociate sul mio sacco a pelo disteso sul terrazzino, nella luce del sole mattutino e provai a fare meditazione.
Aspettai poi il treno in una stazione letteralmente piena di scimmie; accanto ai binari, sui muri, i murales in hindi.
Arrivai a destinazione in poco tempo, il viaggio fu breve, l’atmosfera di montagna si respirava subito e qui in questo luogo: Rishikesh, avvenne un po’ la svolta diciamo del mio viaggio in India.
Ero deciso a conoscere più da vicino gli anacoreti, a trascorrere un po’ di tempo con loro, a capire davvero di cosa si trattasse, del perchè di questa scelta, in che cosa consistesse e dove mi trovavo, era gremito di questo genere di persone.
Scelsi prima l’albergo, sempre molto economico, ovviamente, poi, una volta posate le mie cose, mi diressi verso il Gange per una passeggiata sui gath. Inizia a parlare con un paio di loro, mi illustrarono la loro religione: lo Shivaismo, poi mi avvicinò un baba e memore dell’incontro fugace con quel ragazzo che avevo fatto a New-Delhi, capii che egli sarebbe stato la mia guida in quel viaggio.
Il fare molto quieto e i modi gentili della sua persona, mi misero subito a mio agio. Sedemmo sul gath in pietra, discutendo della differenza sugli stili di vita in oriente e in occidente, poi ci incamminammo fino alla loro tenda in riva al fiume sacro, che scorreva poderoso in quel tratto di montagna e lì mi avrebbe fatto conoscere il suo guru: Gil.
Il guru arrivò molto rilassato da una passeggiata nella piazzetta del paese dove si trovavano altri sadhu. Subito mi fecero accomodare a gambe incrociate, ovviamente, al centro della tenda e qui sedevamo tutti in cerchio, fuori le vacche, i cani, i corvi e il fuoco sacro che bruciava.
Furono molto gentili con me: mentre si avvicinava la sera, il più giovane di essi si apprestò subito a preparare una veloce cena con un po’ di spesa che comprammo insieme.
Impastò farina, acqua e verdure e subito sfornò un ottimo chapati alle verdure, poi mi prepararono un chai rigenerante e in quel clima montano era davvero la cosa migliore da gustare.
Ovunque nel villaggio sorgevano ashrams per fare meditazione, passeggiavano turisti usciti dai corsi di yoga e si vedevano tuniche color rosa e arancio in riva al Gange.
Trascorsi così fra meditazione e discussioni sul divario oriente-occidente tre giorni, ma ricordo che quell’incontro mi svuotò letteralmente di tutto quello che poteva sembrare il senso del life-style occidentale, così crollai.
Ebbi letteralmente una crisi mistica e piansi difronte ai loro occhi, che davvero non capivano il perchè di quella mia reazione.
(continua)
Rishikesh, la meta spirituale di molti pellegrinaggi
Purtroppo non ressi il colpo e al primo impatto con la parte più vera e pura dell’India tradizionale, classica, ebbi un crollo di motivazione, mi resi conto che le nostre abitudini, ciò che per noi è la norma, è talmente distante dallo stile di vita ascetico di un sadhu, che anche se loro ti accolgono con tutta la benevolenza di questo mondo, per spiegarti che la loro scelta è per il bene dello spirito, del pianeta e quant’altro, non si avvicinerà mai nemmeno al turista che va lì apposta per capire questo.
Essi vivono al di là del mondo, al di là delle cose, al di là dell’attaccamento per i beni materiali, a totale contatto con l’anima, in una tenda, in riva al fiume, praticando la via dell’ascesi e della contemplazione.
Forse un prete, dalle nostre parti, potrebbe capire il loro linguaggio e forse chi non ha vissuto tre giorni con i sadhu può capire la similitudine grazie all’esempio di un vero e proprio esercizio sacerdotale.
Così imparai ad uscire dalle mie crisi che mi avrebbero colto durante i miei viaggi in solitaria in giro per il mondo, telefonando a casa. Parlai con mio fratello. Mi sarebbe piaciuto proseguire per il Nepal: il guru mi consigliava di recarmi a Dharamsala località dove risiedeva il Dalai Lama in quel momento, ma quel genio di mio fratello mi dette un consiglio che illuminò il buio che mi ero creato tutto intorno in un crollo di fiducia: vai a Goa.
Goa è una nota meta turistica, ritrovo di numerosi hippy occidentali e sicuramente lì avrei ritrovato la quiete che cercavo.
In fondo non era la quiete che mancava in quell’esperienza, ma davvero il contesto era troppo distante anche da quello che avevo immaginato io.
Fu un’esperienza che nel concreto trascese i nostri canoni di normalità e inoltre non sono mai stato un tipo da montagna, tanto meno da viverla in mezzo agli asceti.
Perciò la meta dell’oceano, decisamente mi allettò molto di più, anche considerando che vengo da una località di mare e al mare ci sono cresciuto.
(continua)
Rishikesh, la meta spirituale di molti pellegrinaggi
Non scorderò mai il senso di quell’incontro, sconvolse i miei canoni di valutazione sul mondo e sulla vita.
Per l’ennesima volta, mi mise al confronto con una realtà quasi tribale, primitiva in un certo senso, che non mi sarei mai aspettato di incontrare.
Decisamente il viaggio a Rishikesh cambiò il mio modo di vedere la vita, le cose e il mondo che ci circonda in maniera radicale.
Proseguii pensando più, questa volta, a trovare me stesso, non il viaggio di altri, non ad inserirmi in contesti a me inadatti, ma a vivere l’India per ciò che di più affrontabile aveva da offrirmi, oltre al suo aspetto mistico-spirituale, che decisamente mi spaventò di primo acchito.
Meta: Goa.