Marco Balzano nel suo romanzo “Resto qui” mostra un racconto semplice e spassionato di una ragazza che cresce diventando donna in una delle epoche più scure e tristi: quella della guerra.
Conosciamo Trina agli albori della prima guerra mondiale, quando Curon, un paesino dell’Alto Adige non era ancora stato toccato dalla freddezza e ancora si poteva girare liberi per i campi. Quando ancora fare il contadino era un lavoro da sognatori. Trina ama insegnare e non si arrende davanti ai fascisti. Vive la sua gioventù in compagnia delle amiche Maya e Barbara ma ogni giorno deve affrontare la minaccia della guerra. Gli italiani che invadono il suo piccolo paesino, una lingua che si impone sul tedesco come se fosse un marchio di razza.
Accanto ad Erich, un uomo silenzioso e brusco nei modi, crea una famiglia e rivolge l’intero racconto alla sua bimba che gli è stata strappata via dagli ideali di una vita migliore. Loro non si arrendono. Credono nella loro terra e contestano coloro che lasciano il paese ed anche quelli che muti accettano prima il fascismo e poi il nazismo perché stanchi di combattere.
“La gente con un dito sulle labbra lascia ogni giorno che l’orrore proceda”
L’impossibilità di essere liberi nella propria città porta la protagonista a prendere una decisione cruciale: fuggire. Un po’ per amore, un po’ per lasciarsi indietro tutto quel mondo permeato di solitudine e silenzi, parole chiave che caratterizzano un po’ l’intera storia.
In “Resto qui” si leggono la durezza della guerra che cambia l’animo delle persone, che le lascia ammutolite da tanto orrore, e la speranza. Una speranza di una battaglia che prima o poi finirà.
Allo stesso modo in cui la neve smette di posarsi sui campi e lì dove c’era il gelo nasce un nuovo fiore preannunciando la primavera. Nell’intero romanzo prevalgono i sentimenti di rabbia ed odio verso tutti coloro che vogliono distruggere Curon. Tra le parole di stizza e rassegnazione compaiono però anche momenti in cui si crede che tutto invece andrà per il meglio.
Balzano attraverso le sue parole ci racconta uno spaccato della nostra storia, in modo diretto, tanto da far immergere il lettore nelle vicende degli abitanti dell’Alto Adige. In alcuni passaggi sembra quasi che si saltino delle frasi e ci si ritrova davanti al fatto compiuto. Il che potrebbe sembrare un difetto, come se avesse voluto procedere nel racconto non curandosi di alcuni dettagli. In altri momenti è proprio questo impatto brusco che mette il soggetto davanti alla cruda realtà raccontata.
Il racconto, sebbene romanzato come si conviene ad una buona novella, sotto i personaggi mai esistiti e frasi mai dette, nasconde la realtà di vicende realmente accadute. L’autore, basandosi su testimonianze e studi di ricerca, ha voluto mettere su carta le voci di quelle persone a cui da un momento all’altro è stato portato via tutto perché cosi gli altri avevano deciso.