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Marielle e Zehra : le proprie idee fino alla morte (o alla prigione)

A mostrare al mondo quello che non si vuole vedere ci si fa male

Complexo do Maré, agglomerato di favelas a Rio de Janeiro: nella notte tra il 14 e il 15 marzo Marielle Franco, consigliera comunale a Rio de Janeiro e attivista per i diritti umani, viene freddata con 13 colpi di pistola.

Dieci giorni dopo, quasi dall’altra parte del mondo, in Turchia, la giornalista Zehra Dogan viene arrestata e condannata a scontare quasi tre anni dietro le sbarre.

La colpa di Marielle e Zehra? Portare alla luce realtà “scomode”: una , la Turchia sotto il governo Erdogan, l’altra la realtà di una parte del Brasile abbandonata dal mondo: le favelas.

Noi di The Web Coffee vi vogliamo raccontare le storie di queste due grandi donne, due donne che non si nascondono, e raccontano la realtà, anche se in alcuni frangenti può essere “scomoda”.

 

Marielle Franco: una vita per le favelas

Si è battuta fino all’ultimo, e a quanto pare ai deliquenti e ai poliziotti presenti nelle favelas Marielle Franco dava parecchio fastidio. Lei, che tra le baraccopoli di Rio de Janeiro è nata, il 27 luglio 1979; fin da giovane si sente parte della comunità LGBT.

 

Inoltre s’interessa a tematica delicate, come il riconoscimento dei diritti delle donne e, in particolare, ad interessarsi della condizione femminile nelle favelas.

A queste si affianca la difesa dei diritti umani; nel 2006 si avvicina alla politica , venendo nominata  consigliere parlamentare di  Marcelo Freixo quando questi viene eletto, oltre ad assumere il coordinamento della Commissione per la difesa dei diritti umani e della cittadinanza.

Si presenta come canditata nel 2016, e in seguito viene eletta consigliera nella Câmara Municipal di Rio de Janeiro con la Mudar Coalition, formata dal Partito Socialismo e Libertà (PSOL) e dal Partito Comunista Brasiliano (PCB).

Nel Consiglio municipale ha presiede la Commissione per la difesa delle donne ed è membro di una Commissione incaricata di monitorare l’azione della polizia federale a Rio de Janeiro.

E proprio la polizia si pensa abbia avuto un ruolo attivo nella sua morte, che ha diviso letteralmente il paese.

Da una parte le migliaia di persone dei cui diritti la Franco si è fatta paladina, dall’altra autorità politiche e giudiziarie, che la descrivono come « legata a dei criminali», come il  Comando Vermelho, il più antico gruppo criminale del Brasile.

 

 

Zehra Doğan : la giornalista “scomoda” ad Erdogan

“Ho sempre cercato di esistere attraverso i miei dipinti, le mie notizie, e la mia lotta come una donna.Ora, anche se sono intrappolata tra le quattro mura, io continuo a pensare che ho fatto assolutamente il mio dovere in pieno.In questo paese, buio come la notte, dove tutti i nostri diritti sono stati incrociati con sangue rosso, sapevo che stavo per essere imprigionata”

Recentemente è finita sui quotidiani a causa di un murales realizzato dall’artista Banksy: una serie di linee nere oblique, che rappresentano le sbarre di una cella, dietro le quali si vede il volto dell’artista curda Zehra Doğan.

Una protesta attraverso l’arte ad un arresto ingiustificato, quello appunto di Zehra Doğan, rea proprio di aver denunciato, attraverso la pittura la violenza perpetrata dal governo turco nella regione di Nusaybin, perlopiù abitata da Curdi.

Un modo silenzioso e potente, quello dell’arte, attraverso il quale la giornalista curda, classe 1989, descrive e denuncia il regime oppressivo del presidente Erdogan.

Nessun artista volta le spalle alla società; un pittore deve usare il suo pennello come arma contro gli oppressori.

Nemmeno i soldati nazisti hanno cercato Picasso a causa dei suoi dipinti, e tuttavia io sono a giudizio a causa dei miei disegni.
Terrò disegno.

Quando una donna rilascia fiumi di colori, è possibile lasciare la prigione. Ma sono solo pennellate …. Non dimenticate mai, è la mia mano che tiene il pennello!”

Nel luglio 2016 la Doğan viene arrestata ad un caffè proprio di Nusaybin, e condannata a tre anni.

Il 2 marzo 2017 è stata assolta dall’accusa di appartenenza a un’organizzazione illegale, ma viene condannata a 2 anni, 9 mesi e 22 giorni di carcere per aver pubblicato un dipinto sui social media.

Due donne coraggiose, Marielle e Zehra, nel denunciare, con le parole ma anche con l’arte quello che non va. Quello che il mondo non può vedere, o forse sempre più spesso non VUOLE vedere

 

http://www.ilgiornale.it/news/politica/uccisa-agguato-pasionaria-delle-favelas-1505764.html

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