Risale al settembre del 2015 l’inizio della disputa legale fra la marca di cosmetici milanese Kiko e la perugina Wycon. La corte d’appello ha sancito la vittoria della controparte in favore di Kiko, accusando Wycon di plagio.
L’accusa verso la casa cosmetica Wycon mossa dalla concorrente Kiko e confermata dal giudice, sarebbe quella di “concorrenza parassitaria”. Lo stile dei negozi Wycon pare infatti che fosse troppo simile a quelli di Kiko, causando in questo modo confusione nel consumatore. Simili, inoltre, i prezzi dei prodotti e le divise del personale.
Wycon sarà costretta a pagare 700 mila euro e a ripensare lo styling dei propri punti vendita. La casa cosmetica non avrà però molto tempo per rinnovare i suoi negozi. La corte d’appello ha fissato a 150 giorni il tempo limite per la ristrutturazione.
La risposta della sconfitta Wycon non si è fatta attendere. il marchio di make up ha dichiarato di essere in totale disaccordo con la sentenza emessa dalla corte d’appello, trovando le accuse di Kiko infondate.
Wycon non ci sta. evidentemente la casa cosmetica non immaginava una tale sentenza. Pare infatti che in precedenza il tribunale di Lisbona giudicò il design d’arredo dei negozi Wycon diverso da quello di Kiko. Il tribunale affermò che tale arredo fosse utilizzato anche da altri esponenti del settore. Anche il tribunale italiano di Liegi respinse le accuse della marca cosmetica Kiko, concordando con il tribunale di Lisbona sul fatto che l’arredamento utilizzato dalla casa di make-up milanese non avesse niente di originale e quindi non potesse essere oggetto di plagio.
A ribaltare il processo la decisione del giudice in corte d’appello, che ha affermato come ogni marchio debba avere un proprio design d’arredo. I 120 punti vendita Wycon sono stati giudicati come palesemente strutturati sul modello di quelli di Kiko.
La corte di appello ha emesso la sentenza in base all’ex articolo 2598 del codice civile. L’articolo riporta infatti la definizione di condotta parassitaria: “Il mezzo per determinare uno sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui, così determinandosi su tale piano la violazione dei principi di correttezza professionale che integrano la concorrenza leale”.
L’ultima parola spetta alla corte di cassazione, ma sembra che per ora a vincere questa guerra a colpi di make-up sia Kiko.