Perché non c’è niente di più bello del modo in cui tutte le volte il mare cerca di baciare la spiaggia, non importa quante volte viene mandato via.
Sarah Kay
Previously on “Il ragazzo del treno”
Il lunedì, normalmente, è per tutti una giornata orrenda, o comunque non così bella, per un motivo o per un altro. Ma quel lunedì faceva eccezione e somigliava più ad un prefestivo. Vederlo laggiù, fu decisamente inaspettato. Un’occasione da non perdere e a quel punto la timidezza, o almeno parte di essa, poteva benissimo andare a farsi un giro. Feci qualche passo (incerto) avanti nella sua direzione, finchè non trovai un punto comodo dove sedermi ad osservarlo mentre si allenava.
Volevo parlargli? Si, certamente. Ma certo non vado da un perfetto sconosciuto a dirgli ” Ciao ci siamo visti su un treno un paio di giorni fa, piacere io sono Alex.” . Sarei passata per scema. O meglio, mi sarei sentita scema.
Lui sembrò non essersi minimamente accorto della mia presenza, qualche metro più in là, presissimo com’era dall’esercizio. E ad essere sincera, era abbastanza bello da vedere. Mi piaceva il suo modo di muoversi. Mi sentivo come un personaggio dei cartoni animati, con gli occhi a cuore. Anche se non capivo se era per via di lui o del karate.
Per un tempo che sembrò lunghissimo, rimasi in silenzio a guardarlo. Finchè, all’ennesima ripetizione del kata, mi accorsi di un errore che stava commettendo. Eccola, l’occasione per aprire bocca (e per farmi cadere la faccia a terra) e rompere il ghiaccio. Il cuore martellava nel petto (no, non come quando si è innamorati, ma come quando te la stai per fare sotto), le gambe parevano inchiodate al suolo, ma alla fine esclamai:
<Devi chiudere meglio l’anca.> Sentivo la mia voce disperdersi sulla spiaggia vuota, mentre vedevo lui fermarsi e guardarsi intorno, cercando la fonte sonora di quella frase. Non necessitava essere a pochi passi da lui, per leggere l’espressione sorpresa, e smarrita allo stesso tempo, che aveva quando finalmente si accorse di me.
Mi feci coraggio, mi alzai e andai da lui. Più mi avvicinavo, più leggevo le domande sul suo volto.Chi diamine ero? Da dove sbucavo? Che cavolo ci facevo lì?
<Ci conosciamo?> mi chiese.
Eeehm, in linea del tutto teorica ed ipotetica si. In pratica no. Non credo che un incontro fugace possa essere considerato “conoscersi”.
<No> risposi <Piacere, io sono Alex>
<Sicuro che non ci conosciamo? Il tuo viso non mi è nuovo.>
Benedetta la mia pelle già abbronzata. Sì, avevo già preso molto sole prima di arrivare a Pesaro. Dove? A casa mia, nella regione dove spesso l’estate inizia a Maggio: in Sicilia. Dicevo, fortunatamente il colorito della mia pelle mi rese un favore. Potevo sentire il rosso imbarazzo tingere, più o meno, le mie guance mentre il cuore saltava un battito. Se da un lato avrei voluto iniziare a saltare felice come una bimba, dall’altro mi imposi in fretta un’espressione di contegno.
<Guarda, probabilmente ti confondi con un’altra persona>, cercai di rimanere impassibile.
<Mmm, può darsi. Beh, non importa.> mi disse sorridendo. <Scusami, sono stato maleducato. Mi stavi dicendo il tuo nome.>
<Alex>
<Piacere, io sono Thomas>
Il sole era definitivamente sorto all’orizzonte e la sua luce dorata donava una nuova atmosfera a quel momento. Mi girai verso il mare e in quel momento sentii un piccolo formicolio di contentezza. La giornata sembrava promettere bene.
<È ora di colazione, vieni con me?>
Con questa domanda, quel lunedì entrò di diritto nella mia personale top ten dei lunedì.