Oh, la piadina!
Odore della casa che arriva quassù, e chi la mangia sente aria di Romagna.
Aldo Spallicci
La piadina accompagna la nostra storia praticamente da sempre: se ne trovano tracce già con gli Etruschi (che accompagnavano i loro cibi con dischetti prima di orzo, e poi di farro) e anche successivamente presso i Romani. Se ne trova traccia anche nell’Eneide, tanto da venir chiamata il pane di Enea.
Nasce nella cucina povera come sostituto del pane, dagli avanzi di farina e lievito uniti con il grasso animale. Oggi il suo rango, come per molti cibi della cucina contadina, si è elevato ed è diventata uno degli street food più richiesti e amati.
Tanto che, girettando online, ho incontrato 2 appuntamenti molto interessanti per chi ama questo cibo: il primo è questo fine settimana a Roma nel „Rione Fontana Morella di Cerveteri“, dove tra musica e balli all’aperto, potrete gustarvi una sfiziosa piadina. Accorrete numerosi è la prima edizione!Il secondo in terra di casa a Bellaria, e come di consueto si terrà il secondo weekend di settembre: ricette tradizionali allieteranno il vostro palato, con tantissime varianti e intrattenimento all’interno dei vari stands.
Anche Giovanni Pascoli non resta immune al fascino della piadina, tanto da dedicarle un’intera poesia. Eccone un assaggio (in tutti i sensi):
VI
Entra, vegliardo, antico ospite: ed ecco l’azimo antico degli eroi,
che cupi sedeano all’ombra della nave in secco
(si levarono grandi sulle rupi l’aquile;
e nella macchia era tra i rovi un inquieto guaiolar di lupi…):
il pane della povertà, che trovi tu, reduce aratore, esca veloce,
che sol s’intrise all’apparir dei bovi:
il pane dell’umanità, che cuoce in mezzo a tutti, sopra l’ara,
e intorno poi si partisce in forma della croce:
il pane della libertà, che il forno sdegna venale;
cui partisci, o padre, tu, nelle più soavi ore del giorno:
ognuno in cerchio mangia le sue quadre; più, i più grandi,
e assai forse nessuno; forse n’ebbe più che assai la madre,
cui n’avanza per darne un pò per uno.
VII
Azimo santo e povero dei mesti agricoltori,
il pane del passaggio tu sei, che s’accompagna all’erbe agresti;
il pane, che, verrà tempo e nel raggio del cielo, sulla terra alma,
gli umani lavoreranno nel calendimaggio.
Che porranno quel di sugli altipiani le tende,
e nel comune attendamento l’arte ognun ciberà delle sue mani.
Ecco il gran fuoco, che s’accende al vento di primavera.
ma in disparte, gravi, sulla palma le bianche onde del mento,
parlano i vecchi di non sò che schiavi d’altri e di sè:
ma sembrano parole sepolte, dei lontani avi degli avi.
Guardano poi la prole della prole seder concorde,
e, con le donne loro e i loro figli, in terra sotto il sole,
frangere in pace il pane del lavoro.
Insomma di qualunque regione voi siate, la piadina è aria di casa, è tradizione e unione, è mangiare bene e in famiglia dove per famiglia non intendo solo parenti, ma anche amici, tutti intorno ad un tavolo a mangiarsi piadine con salumi (sostituitelo con quello che più vi piace) e a ridere e scherzare.
La piadina è un piatto semplice, unico nella sua semplicità e nel suo rappresentare una terra bellissima, piena di gente con il cuore grande e una forza incredibile. Dalla semplicità nascono sempre le cose più belle!
Non conoscevo la poesia di Pascoli, ma non mi sorprendo che l’abbia scritta, visto che era di quelle parti e ne avrà certamente mangiato a chili. Segnato in calendario il secondo week end di settembre per fare una capatina a Bellaria. 😉
Grazie della dritta.