Le competenze sociali sono strettamente collegate all’empatia; mentre tramite quest’ultima percepiamo le emozioni altrui, con le competenze sociali ci poniamo positivamente con il linguaggio del corpo.
Costruire relazioni positive, è molto importante per la nostra vita privata e lavorativa. Abbiamo già visto in precedenza che un ambiente di lavoro rilassato è molto più produttivo di uno pieno di sentimenti negativi.
Purtroppo molto spesso gli ambienti di lavoro, sono tutt’altro che luoghi in cui si va volentieri. Questo accade anche perché non si punta su relazioni costruttive volte al raggiungimento di un obiettivo comune, ma si creano inimicizie, rancori, e diseguaglianze.
Spesso non ci sono leader ma capi. Un leader è colui che aiuta i suoi collaboratori, li sprona, mette in evidenza le loro caratteristiche e aiuta a trasformare i difetti in punti di forza. Un capo sta da una parte, non conosce i suoi collaboratori e non ha interesse al loro miglioramento personale. Raccoglie solo i profitti.
C’è chi nasce con le caratteristiche del leader, ma non è impossibile diventarlo tramite l’intelligenza emotiva. La competenza sociale è appunto questo: leggere i movimenti degli altri, il loro linguaggio del corpo e rispondere mettendoli a loro agio.
Se abbiamo di fronte una persona chiusa, timida, che fa fatica a mettersi in sintonia con noi, non la umilieremo, non la faremo sentire meno importante, ma cercheremo il modo di farla aprire rispettando i suoi tempi e valorizzando le sue attitudini.
Dovremmo leggere la mimica facciale, guardare una persona negli occhi e provare a capire cosa sta provando in quel momento. Una volta fatto questo possiamo agire in modo da farla sentire benvenuta.
Ascoltiamo il tono di voce e le parole che l’altro usa, ma non per avere un’arma di ricatto, bensì per trovare un ponte, per creare un collegamento in cui trovarsi a metà strada.
Per fare questo però, bisogna cambiare punto di partenza che non sarà il raggiungere un obiettivo per aumentare lo stipendio, ma sarà far crescere la squadra.
La gratificazione economica ovviamente ha il suo peso, ed è senza dubbio importante, ma non dovrebbe essere il motore che fa essere un lavoratore produttivo. Molti studi hanno dimostrato che un lavoratore stimolato ed apprezzato lavora più volentieri e con più profitto.
Non siamo macchine che producono soldi, e non siamo numeri, siamo persone che anche sul lavoro hanno bisogno di essere apprezzate per quello che fanno.
La competitività non è sbagliata se posta nella giusta ottica, ossia quella di creare un terreno in cui più persone creano un’idea ma non per vedere chi è il migliore, bensì per ottenere il meglio per la squadra. Può non esistere un primo classificato, ma una squadra che presenta un lavoro fatto bene si. E quel lavoro porterà frutti a tutti, non a uno solo in quanto capo.
Non sono concetti facili da applicare, perché siamo abituati ad altro: fin da piccoli ci abituano a giudicarci con dei numeri, ci indicano chi è stato il migliore della classe nel compito; crescendo è una competizione insana a chi ha di più in termini economici (dalla macchina, ai vestiti, allo smartphone) per questo dobbiamo cambiare il punto di partenza che non sarà più il singolo soggetto ma tutta la squadra.
Da decenni ci abituano ad individuare un nemico comune, ci dividono e questo permette che si infiltrino sensazioni negative, che germogliando, nel tempo, porteranno solo altra negatività. Dobbiamo tornare ad avere una visione di insieme, la voglia di lavorare uniti per costruire qualcosa di buono di cui godere.