Ieri abbiamo ricordato un vergognoso anniversario per la nostra storia del nostro Paese: la promulgazione del corpus delle leggi razziali contro gli ebrei italiani.
Il 5 settembre 1938, presso la tenuta pisana di San Rossore, Re Vittorio Emanuele III approvava i Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, cui fecero seguito due giorni dopo i Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri e il 6 ottobre la Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio del Fascismo.
Per i razzisti e i fascisti gli ebrei avevano un peso enorme, determinante. L’immagine ricorrente che si usava ai tempi per spiegare tale peso è quella della “piovra gigantesca”, che, temibilissima, estende i propri tentacoli su tutti i posti-chiave, gli affari e gli ambiti principali della vita sociale italiana, impadronendosene inevitabilmente. C’erano infatti effettivamente molti ebrei nell’amministrazione pubblica, nella cultura, nella scuola, nella politica, nell’economia.
La situazione era ben diversa da così, poiché pur essendo vero che gli ebrei erano la maggioranza degli intellettuali italiani, questo accadeva per ragioni “storiche”: erano infatti venuti in Italia come gruppo soprattutto d’estrazione e d’appartenenza “borghese”, ma in relazione al numero degli appartenenti alla borghesia italiana gli ebrei erano un numero esiguo, anche perché essi erano concentrati soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, in pochi e ben circoscritti contesti urbani. Di certo la presenza ebraica dunque anche numericamente non era una minaccia per la vita e l’economia italiana come invece veniva fatto credere dalle pubblicazioni razziste e fasciste che diffondevano informazioni e cifre false.
Uno dei dati di fatto che colpiscono è proprio la grande assimilazione degli ebrei italiani nella società post-unitaria. Lo Stato italiano unitario, come anche l’Italia dei secoli passati, infatti non ha mai conosciuto una vera e propria “questione ebraica”.
Gli ebrei italiani anzi, potevano continuare a professare il loro culto, a seguire le proprie tradizioni, avevano partecipato numerosi al Risorgimento e soprattutto alle guerre coloniali e alla prima guerra mondiale, ed erano stati accolti nelle fila dell’esercito e nella società in generale senza riserve o pregiudizi. Le riserve e le rimostranze provenivano soprattutto da certi ambienti cattolici, particolarmente chiusi e bigotti, ma furono in ogni caso poche e non ebbero seguito.
L’attaccamento degli ebrei italiani alle tradizioni e alla storia del Paese fu talmente forte che portò addirittura, molti, a ripudiare la loro appartenenza alla comunità ebraica e a convertirsi al cattolicesimo, come se l’essere ebrei non li facesse essere totalmente italiani. Per dirla come Nello Rosselli presso il convegno giovanile ebraico di Livorno del 2-4 settembre 1924, “Io sono un ebreo che non va al tempio il sabato, che non conosce l’ebraico, che non osserva nessuna pratica di culto. Eppure io ci tengo al mio ebraismo e voglio tutelarlo da ogni deviazione… non sono un sionista. Non sono dunque un ebreo integrale… il problema ebraico non è, o io non lo sento, come il problema fondamentale, unico della mia vita”. Molti ebrei si sentivano così italiani da addirittura rifiutare o disinteressarsi al sionismo e a Israele, vedendolo più come un movimento filantropico che mirava ad aiutare gli sfortunati ebrei in giro per l’Europa che la possibilità di costruire uno Stato ebraico.
Mancando in Italia un “problema ebraico” vero e proprio, l’antisemitismo dei nazionalisti italiani non aveva basi ideologiche forti su cui reggersi. L’antisemitismo italiano è stato davvero un processo complicato e confuso: per i nazionalisti italiani gli ebrei non erano fisicamente belli, mancavano di spirito d’avventura, erano pacifisti, “borghesi”, avari, attaccati al denaro, mancavano di passioni e soprattutto di amor patrio (mentre è stato dimostrato che era tutto il contrario). Gli ebrei erano insomma il contrario dell’idea di “uomo nuovo” che i nazionalisti volevano incarnare. Fino alla grande guerra, l’antisemitismo italiano restò confinato ai soli pochi ambienti nazionalisti.
Si comprende perciò l’imbarazzo anche dei fascisti stessi che si videro costretti ad ammettere che non solo non esisteva un vero e proprio antisemitismo italiano, ma che gli ebrei italiani si erano integrati perfettamente e anzi, non costituivano nessun problema. All’inizio i provvedimenti antiebraici non ebbero l’effetto desiderato perché presupponevano che ci fossero degli antagonismi nazionali o meglio, presupponevano un nazionalismo di fondo. Tutto ciò mancava in Italia negli anni ’30, un Paese sostanzialmente omogeneo etnicamente e religiosamente (di base cattolico ma con un laicismo da non sottovalutare; in ogni caso sia laici che cattolici erano contrari al razzismo) e soprattutto senza un proprio nazionalismo.
Il fascismo originario non ha avuto una propria politica antiebraica unitaria, ebbe soltanto posizioni individuali.
Lo stesso Duce non aveva le idee particolarmente chiare in merito alla linea da tenere con gli ebrei, che gli erano abbastanza indifferenti. Un fatto particolarmente imbarazzante, per i fascisti, la dice lunga su quale fosse la confusione vigente nel partito, nonostante la “facciata” di solidità e unità: nel fascismo della prima ora militarono anche molti ebrei, e il partito all’inizio fu anche largamente sovvenzionato da loro.
Mussolini alla fine decise sostanzialmente da solo (nessuno dei gerarchi osò contraddirlo eccetto Italo Balbo, governatore della Libia) per la più terribile delle possibilità, cioè seguire Hitler e le sue scellerate politiche razziali per non rischiare di perdere il suo appoggio.
Ad ogni modo, soprattutto dopo il Concordato del 1929, gli ebrei italiani furono rassicurati del fatto che non gli sarebbe successo nulla di male e la situazione allora si “pacificò”.
Le prime avvisaglie del razzismo fascista perciò non destarono sospetti particolari: era infatti iniziato come razzismo di tipo coloniale, atto cioè a costruire l’impero coloniale italiano, ma dal razzismo coloniale al razzismo antisemita il passo è stato breve e “naturale”. I giuristi del Ventennio affrontarono il problema ebraico utilizzando proprio le pratiche giuridiche in atto ai danni degli abitanti delle colonie italiane. Si trattava di pratiche giuridiche ritenute particolarmente “adatte” al caso ebraico perché già indirizzate contro l’inferiore, il diverso.
Il 14 luglio 1938 fu pubblicato inizialmente in forma anonima (il 25 luglio furono poi resi pubblici i nomi dei firmatari) sul Giornale d’Italia il celebre Manifesto degli Scienziati. Il tono era genericamente razzista e lo scopo era fornire una base ideologico-teorica per gli “affondi” razziali successivi del regime. Nel Manifesto si parla chiaramente dell’esistenza di un concetto biologico di razza (una simile pubblicazione non aveva nessun valore scientifico chiaramente).
Soltanto il nono dei dieci punti del Manifesto parla esplicitamente di ebrei: in esso si dice che “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana… gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani”.
La famosa Margherita Sarfatti nell’articolo Mussolini contro gli ebrei, cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Italy and the Jews. The Duce to explain, pubblicato sull’inglese The Observer l’11 settembre 1938 riferisce che, nel suo unico spiccatamente razzista tenuto a Trieste il 25 ottobre 1938, Mussolini affermò “… Noi non siamo Camiti, non siamo Semiti, non siamo Mongoli. E allora se noi non apparteniamo a nessuna di queste razze, siamo evidentemente ariani e siamo venuti dalle Alpi, cioè dal Nord. Quindi siamo ariani di tipo mediterraneo: una delle poche razze pure esistenti in Europa… Bisogna reagire al pietismo del povero ebreo: che colpa ha? Che cosa ha fatto di male? … l’ebreo è il popolo più razzista dell’universo… non si è mai lasciato assimilare… non vi è dubbio che l’ebraismo mondiale sia stato contro il fascismo… e a tutti coloro che hanno il cuore dolce, troppo dolce e si commuovono occorre domandare: Signori, quale sarebbe la sorte, quali spazi sarebbero riservati a 70.000 cristiani in una tribù [poi comunità] di 44.000.000 ebrei?”.
Il primo provvedimento della legislazione antiebraica fu il r.d.l. 1381 riguardante i Provvedimenti contro gli ebrei stranieri, ai quali fu vietato di prendere “fissa dimora nel Regno, in Libia e dei possedimenti dell’Egeo”.
Il secondo provvedimento adottato fu il r.d.l. 1539 che sanciva l’istituzione, presso il Ministero dell’Interno, del Consiglio superiore per la demografia e la razza, detto anche Demorazza, destinato a fornire pareri su questioni inerenti la razza e la demografia (poi Ufficio centrale demografico).
Il quarto provvedimento razziale fu il r.d.l. 1390 denominato Provvedimento per la difesa della razza nella scuola fascista, un decreto davvero durissimo perché escludeva in un colpo solo tutti gli ebrei da qualsiasi impiego nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, e li escludeva anche dal conseguimento della libera docenza.
Il quinto provvedimento, il r.d.l. 1630, istituiva la nascita delle prime scuole elementari e medie esclusivamente ebraiche, mentre gli ebrei già iscritti all’università potevano proseguire e terminare gli studi (erano vietate però nuove richieste di immatricolazione da parte di studenti ebrei).
Il 10 settembre 1938 il potentissimo Sottosegretario all’Interno Guido Buffarini Guidi, il vero uomo di Mussolini dietro a tutta la politica antiebraica, riferì al Re Vittorio Emanuele III (che non badava mai troppo ai documenti che il governo gli faceva firmare, anche se erano documenti discriminatori, e che si trovava in quel momento presso la tenuta di San Rossore) in merito ai provvedimenti antiebraici e razzisti. In occasione della riunione del 6 ottobre 1938 del Gran Consiglio del Fascismo, fu approvata la Dichiarazione sulla Razza. E’ verso gli ebrei che fu perpetrato il ricatto peggiore; essi dovevano cessare qualsiasi azione di pressione, rimostranza o protesta verso il governo che li discriminava e li opprimeva sempre di più, pena l’inasprimento ulteriore di tali odiosi provvedimenti che li vedevano come vittime. Il ricatto delle persecuzioni fu particolarmente odioso per le famiglie miste; le politiche volute dal Duce di netta separazione e di discriminazione avrebbero portato un trauma umano enorme a queste famiglie, che sarebbero state divise per sempre. In un memorandum dell’ufficio della Demorazza del 2 luglio 1939 si affermava che “le disposizioni sulla razza hanno creato stati di disagio nelle famiglie dei cittadini italiani, di razza ebraica, che hanno sposato donne ariane di religione cattolica. Si rileva chela compagine di tali nuclei familiari sia rimasta scossa perché fra i coniugi sono venute a crearsi condizioni di disparità di diritti e di doveri… non vi è dubbio che sarebbe equo un trattamento di favore per quei coniugi i quali: contraessero matrimonio misto con il rito cattolico… battezzarono i loro figli col rito cattolico… anteriormente al 1 ottobre 1938 abbracciarono la religione cattolica”.
Il testo finale della Dichiarazione sulla Razza (il r.d.l. 1728) fu approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 novembre 1938 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nove giorni dopo. E’ stata definita da Renzo De Felice come la “Magna Charta” del razzismo italiano. Il r.d.l. 1728 è ritenuto da molti il vero e proprio inizio ufficiale delle persecuzioni ebraiche in Italia.
Col dispaccio alle prefetture di tutto il Regno e alla questura di Roma del 15 novembre 1938 il capo della polizia Arturo Bocchini, su imposizione del Ministro dell’Interno, che era poi lo stesso Mussolini, il regime fascista stabilì ufficialmente che gli ebrei erano diventati un problema di ordine pubblico, e come tale doveva essere fatto tutto il possibile per discriminarli, isolarli ed eliminarli.
Bibliografia:
- Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiano sotto il fascismo, Giulio Einaudi editore, 1961 e 1972, Torino
- Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Silvio Zamorani editore, Torino, 1994
- Saverio Gentile, La legalità del male, l’offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico-giuridica (1938-1945), G. Giappichelli editore, Torino, 2013
- Margherita Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Italy and the Jews. The Duce to explain, pubblicato sul The Observer l’11 settembre 1938