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L’obbedienza può ancora oggi portare ad uccidere: l’esperimento di Milgram.

Milgram provò che si può arrivare ad uccidere qualcuno se motivati da un’autorità. Uno degli esperimenti con i risultati più inquietanti della psicologia può valere anche nei nostri giorni?

La storia

Fonte: Il Foglio

Negli anni ’60 Milgram provò a darsi una risposta al come fosse possibile che dei soggetti emarginavano la propria umanità di fronte ad un’autorità. In particolare lui iniziò a fare questo esperimento a tre mesi dall’inizio del processo ad Eichmann, responsabile operativo dello sterminio degli ebrei.
Il processo ad Eichmann è stato raccontato anche da Hannah Arendt nel suo libro “La banalità del male”. Risulta chiaro il distacco dell’imputato nei confronti dell’entità del crimine: Eichmann doveva obbedire ad un’autorità e questo lo portò ad ignorare l’empatia nei confronti del diverso. Questo valeva e vale solo per lui?

L’esperimento

Fonte : YouTube

L’ esperimento consisteva in un gioco di ruolo: un soggetto è un insegnante e un altro – complice dello scienziato – un alunno. L’insegnante doveva somministrare delle scosse di intensità sempre più elevata ogni volta in cui l’alunno sbagliava risposta. A motivare l’insegnante ad emettere la scossa era un dottore che conduceva l’esperimento.  Il professore non era a conoscenza del fatto che le scosse venivano somministrate. Infatti l’alunno mentiva ogni volta che sbagliava, recitando come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Le emozioni manifestate dall’alunno diventavano sempre più forti fino alla scossa da 300V, in cui l’alunno doveva smettere di dimenarsi e urlare, ed arrendersi.

L’obiettivo era quello di vedere fino a che punto il soggetto si sarebbe spinto a somministrare scosse, che potevano arrivare a 450V, con una scossa considerata mortale.

 

Le varianti

L’esperimento ebbe diverse varianti, tra le più importanti ricordiamo la distanza tra il professore e l’alunno e la fonte di autorità.
Si scoprì che il professore somministrava scosse ad intensità più elevata se si trovava vicino al Dottore e lontano dall’alunno. Man mano che l’alunno si avvicinava, il professore era sempre più titubante nel somministrarle e trovava sempre modi diversi per rinunciare al compito senza sentirsi in colpa.
Inoltre si raggiungevano scosse di intensità sempre più elevata se la fonte godeva di uno status elevato, se a motivare a dare la scossa era un pari raramente si arrivava a raggiungere scosse di alta intensità.

I risultati

Gli esiti dell’esperimento non furono affatto positivi: risulta che il 62,5% dei professori arrivò a somministrare la scossa più alta ad una distanza notevole dall’alunno, mentre il 30% dei professori la somministrò nella condizione in cui i due soggetti dovevano toccarsi. In generale dei 40 soggetti a cui fu somministrato l’esperimento, 26 arrivarono fino alla scossa mortale e 5 fino alla scossa da 300V, quella in cui il soggetto smetteva di rispondere ai segnali. Risultati totalmente inaspettati anche dagli insegnanti di psicologia di Yale che pensavano che solo l’1,2% dei soggetti avrebbe raggiunto i 450V.
L’esperimento fu ripetuto, ed integrato con l’esperimento di Zimbardo, per capirne i motivi, nel 2012 da Haslam e Reicher, riportando risultati molto simili.

Oggi

Fonte : You Will Rise Project

Questi risultati ci mostrano come sia facile avere comportamenti antisociali se siamo autorizzati da un soggetto con status elevato. Questo fenomeno è visibile anche nei social network in cui non c’è contatto fisico con l’altro e quindi risulta sempre più facile attaccare e deridere, se si è approvati da qualcuno considerato più importante di noi o da un gruppo. La base del cyberbullismo e dei commenti d’odio nei confronti di gruppi minoritari è anche in questo esperimento.

Guardare qualcuno negli occhi ci offre la possibilità di cogliere tutti i dettagli del loro stato emotivo, in una società dove non ci si guarda più negli occhi, la banalità del male non può che prendere il sopravvento sull’empatia, cadendo nel disagio più diffuso nei giorni d’oggi: l’analfabetismo emotivo.

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