Il “Sabato nero”, ecco come viene ricordato quel maledetto 16 ottobre 1943, quando ci fu il rastrellamento del ghetto ebraico a Roma. Oggi sono 75 anni da quel terribile giorno, che vogliamo ricordare, perché abbiamo paura di dimenticare.

 

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Fonte foto: Mandela Forum

 

Era l’alba, il sole iniziava a fare capolino sui tetti dei palazzi romani. Sembrava una mattina come tante altre, una di quelle mattine dell’ottobrata romana che fa impazzire di gioia i romani ed i turisti.

Ma non era così. Quel giorno, il 16 ottobre 1943, stava per essere compiuta una delle azioni più ricche d’infamia della storia: il rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma.

Nel 1943 la comunità ebraica contava tra le 8’000 e le 12’000 persone; ma su quella comunità stava per abbattersi la piaga della Germania nazista.
Appena dopo l’occupazione tedesca di Roma, a settembre dello stesso anno, gli ordini di Himmler, ministro dell’interno tedesco, erano piuttosto chiari:

“I recenti avvenimenti italiani impongono un’immediata soluzione del problema ebraico”.

 

Il 26 settembre 1943, Kappler, tenente colonnello delle SS, convocò il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ugo Foà e quello delle Comunità Ebraiche Italiane, Dante Almansi, chiedendo 50 kg di oro entro 36 ore; se l’oro non fosse stato consegnato, duecento ebrei romani sarebbero stati deportati in Germania.

L’intera comunità raccolse tutto l’oro che aveva, non solo gioielli, ma anche cari ricordi di famiglia e poco prima dello scadere del tempo, riuscì a racimolare tutto l’oro che serviva.

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Fonte foto: TPI

 

Nonostante la comunità ebraica avesse mantenuto il patto con l’ufficiale, all’alba del 16 ottobre 1943 (un sabato, giorno festivo per gli ebrei), gli uomini della polizia tedesca iniziarono il rastrellamento al ghetto ebraico.
La Gestapo bloccò tutti gli accessi stradali e poi evacuò un isolato per volta, radunando anche la gente in strada, non facendo distinzione tra uomini, donne, bambini ed anziani: qualsiasi ebreo trovato, in strada o in casa, fu preso e gettato violentemente nei camion.

Quel giorno furono deportati 1259 ebrei, molti ancora in pigiama.

Dopo alcuni giorni, i deportati furono trasferiti alla stazione Tiburtina, dove furono caricati su un convoglio composto da 18 carri bestiame. Il convoglio era diretto al campo di concentramento di Auschwitz. Di questi, solo 201 furono considerati abili fisicamente, i restanti furono immediatamente condotti alle camere a gas ed uccisi.

Molti dei deportati sopravvissuti a questa prima divisione furono inviati ad altri campi di concentramento. Degli ebrei rastrellati nel ghetto romano, tornarono solo 15 uomini ed una donna, Settimia Spizzichino, sopravvissuta al campo di concentramento di Bergen-Belsen.

 

“Fummo ammassati davanti a S. Angelo in Pescheria. I camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne, bambini e anche vecchi e malati, e ripartivano. […] Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione; che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci avrebbero internato in un campo di concentramento? “Campo di concentramento” allora non aveva il significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra; dove probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a quello che sarebbe stato il Lager”.

 

Queste sono le parole di Settimia Spizzichino nel suo libro autobiografico “Gli anni rubati”, nel quale racconta quegli anni terribili.

 

Molte sono state le testimonianze di chi è riuscito a scappare da quel terribile 16 ottobre. Uno fra questi è Alberto Sed, che aveva solo quattordici anni quando i tedeschi sono arrivati al ghetto quel giorno. Riuscì a scappare dalla retata insieme alla madre ed alle sorelle, ma nel marzo del 1944, per colpa di una spiata, furono catturati in un magazzino a Porta Pia. Alberto è riuscito a tornare da Auschwitz, ma ha perso la madre e le sorelle (una di loro sbranata dai cani delle SS).

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Quella mattina, dopo l’affronto di pochi giorni prima con la raccolta dell’oro, si diede inizio alla vera e propria “caccia all’ebreo”. Intere famiglie furono sorprese all’alba dai soldati tedeschi, che sfondarono le porte, per prenderle e portarle in luoghi in cui sono concentrate tutte le malignità che può perpetrare un essere umano.

In un’epoca in cui si cerca il complotto e si cerca di negare anche l’innegabile, in un’epoca in cui esistono ancora individui che negano l’esistenza dell’olocausto ebraico, l’unica cosa che possiamo fare tutti è ricordare.

Ricordare le vittime, ricordare la sofferenza dei superstiti e ricordare anche il male a cui l’uomo può arrivare.

 

Per questo, oggi, 16 ottobre 2018, settantacinque anni dopo quel “Sabato Nero” al ghetto di Roma, vogliamo rimembrare una delle più terribili azioni fatte da un uomo.
In occasione di questo giorno, al Festival del Cinema di Roma verrà proiettato il documentario di Ruggero Gabbai, “La Razzia – Roma, 16 ottobre 1943”, prodotto dalla Fondazione Museo della Shoah.

Perché l’unica cosa da fare per non infangare il ricordo, è non dimenticare.

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