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Midterm elections 2018 negli USA: tra cambiamenti e conferme

Il 6 novembre 2018 negli USA hanno avuto luogo le elezioni federali di Midterm, per rinnovare parte del Congresso, fra Camera e Senato, ed eleggere vari governatori USA.

Traiamo qualche conclusione da questa tornata elettorale.

Le elezioni negli USA sono anche un momento di aggregazione e di festa oltre che un dovere civico di ogni cittadino: quando è possibile si organizzano gazebo all’aperto per registrarsi, si mangia e si beve tutti insieme (www.abc.news.com)

Le elezioni di medio temine si tengono ogni quattro anni negli USA, e solitamente funzionano da test per il presidente in carica, insediatosi due anni prima.

Le midterm elections, come già detto, riguardano il rinnovo di parte della Camera e del Senato, oltre che dei governi statali e dei governatori: cambiano tutti i membri della Camera, un terzo dei cento membri del Senato e trentasei governatori su cinquanta.

E’ opportuno ricordare brevemente come sia strutturato il Congresso:

la Camera ha un numero di membri che varia in base agli eletti in ciascun Distretto. Ogni Stato ha un certo numero di distretti in base alla propria estensione territoriale (più banalmente: uno Stato più è grande più eletti manderà alla Camera).

Il Senato invece è stato denominato da qualcuno come l’unico organo realmente “democratico” degli USA, perché è un organo proporzionale: ognuno dei cinquanta Stati ha un numero fisso di senatori (due) a prescindere dall’estensione territoriale. 


Essendo gli Stati Uniti un governo federale, ogni Stato ha un governo locale che ricalca in parte la struttura di quello centrale: ci sono governatore, Congresso (con un Senato e una Camera), Costituzione, Corte Suprema, Procuratore generale ecc. 

Queste figure vengono rinnovate periodicamente, attraverso le elezioni di medio termine.

(www.wired.com)

Come sono andate queste elezioni di medio termine? Due sono le considerazioni da fare.

La prima, lapalissiana:

I democratici si sono aggiudicati la Camera dei Rappresentanti, i repubblicani si confermano al Senato. Capitol Hill è divisa in due, e il rischio di shutdown per il governo potrebbe essere concreto.

La seconda:

E’ stata una tornata elettorale che ha visto trionfare molte figure nuove, molte “prime volte” e molti volti mai visti prima: giovani, esponenti della comunità LGBT, musulmani, ispanici, minoranze, molti figli di immigrati.

Dopo otto anni di opposizione, i democratici sperano di prendersi una rivalsa decisiva sui repubblicani in vista del 2020.

Sembra terminato il tempo di un governo monocolore repubblicano a Washington.

I loghi dei due principali partiti americani: un elefante e un asino (www.jollykill.com)

Erano necessari 218 seggi per assicurarsi la Camera: i democratici ne hanno guadagnati 27 ai repubblicani e, con 220 seggi, si sono impadroniti della Camera.

La cosa più probabile che potrebbe accadere, è che i democratici alla Camera si attestino su una maggioranza di 225-235 seggi.

Prima delle elezioni, di sicuro c’erano 194 democratici  e 166 repubblicani, il resto era tutta una possibile “conquista”. I democratici hanno vinto in Distretti dove il presidente Trump è particolarmente impopolare; “l’onda blu” democratica non è stata delle dimensioni che ci si aspettava alla vigilia delle elezioni, ma in ogni caso c’è stata e ha senza dubbio avuto il suo peso: la Camera di Capitol Hill adesso è blu.

Indubbiamente una Camera a maggioranza democratica, dunque dell’opposto schieramento politico, sarà un ostacolo per il presidente repubblicano e per i suoi disegni di legge, alcuni dei quali estremamente controversi.

Ci sarà da aspettarsi battaglia a Washington anche con tutti i nuovi eletti democratici, sicuramente ansiosi di dimostrare la loro stoffa come politici e sicuramente smaniosi di governare anche in vista delle elezioni del 2020.

(www.telegraph.co.uk)

Molti nuovi eletti, come la più giovane deputata mai eletta al Congresso della storia americana, la ventinovenne Alexandria Ocasio Cortez (che ha concorso per il 14esimo Distretto della città di New York, formato dal Bronx e dal Queens, contro il repubblicano Anthony Pappas), di origini portoricane, hanno indubbiamente portato linfa nuova al partito democratico americano, e lasciano ben sperare per il futuro del partito, che dopo Obama è rimasto senza di politici forti che possano essere opzioni “interessanti” in ottica elettorale. 
Queste elezioni midterm si sono contraddistinte come già detto per essere state le elezioni della novità, con molte new entries entrate al Congresso o diventate governatori, volti che hanno portato una ventata di freschezza e di cambiamento alla politica americana che la rendono espressione di un Paese costruito sulle diversità, sull’immigrazione, sul multiculturalismo.

Molte donne, soprattutto fra i democratici, sono state elette e hanno fatto il loro ingresso sulla scena nazionale.

La nuova star della politica estera americana: Alexandria Ocasio-Cortez (www.tpi.it)

Oltre alla già citata nuova star della politica americana, Alexandria Ocasio-Cortez, la più giovane deputata della storia degli USA, si notino anche Rashida Tlaib, 42 anni, mamma single di due bambini, avvocato, democratica, figlia maggiore di una famiglia numerosa di immigrati della Palestina, eletta al Congresso per il 13esimo Distretto del Michigan (corrispondente all’area di Detroit, uno snodo commerciale e industriale essenziale), e Ilham Omar, le prime due donne musulmane elette al Congresso americano.

 

Omar ha 36 anni ed è anche lei democratica, è entrata a far parte della Camera come deputata del 5 Distretto del Minnesota (ottenendo ben il 78% dei voti), è figlia di rifugiati somali negli USA, dove è venuta a 14 anni: come è noto, si può essere eletti negli USA per qualsiasi carica pubblica eccetto la presidenza anche essendo nati all’estero; per la Casa Bianca la Costituzione nel secondo articolo prescrive che il presidente debba essere nato entro i confini del Paese.

Nel 2017 Times l’ha inserita nell’elenco delle 46 donne in grado di cambiare il mondo; sarà la prima ad indossare l’hijab nell’emiciclo di Capitol Hill.

Le prime deputate musulmane della storia americana: Ilham Omar (sinistra) e Rashida Tlaib (destra) (www.rainews24.it)

Un’altra personalità molto  interessante entrata a far parte della Camera per la prima volta è Sharice Davis, democratica, avvocato, lesbica, cresciuta da una madre single che ha militato per più di vent’anni nell’esercito americano. Davis è stata eletta nel 3 Distretto del Kansas. Anche lei è una donna delle “prime volte”: è stata infatti la prima donna eletta deputata in Kansas, la prima deputata appartenente ad una tribù di nativi indiani (la Ho-Chunk del Wisconsin) mai eletta nella storia americana, ed in più è la prima deputata ad essere stata una praticante professionista di MMA, arti marziali combinate.

 

Davis non è la sola nativa americana ad essere stata eletta al Congresso: anche Deb Haaland del New Mexico è entrata a far parte di Capitol Hill. Haaland ha 57 anni, è stata eletta per il 1 Distretto del New Mexico, e nel suo profilo Instagram si definisce Pueblo woman, Former Dem Party Chair, Proud UNM Lobo mom, Marathon runner, Gourmet cook. Anche lei è una madre single e figlia di veterani delle forze armate, nel suo caso della Marina americana (suo padre è addirittura sepolto nel Cimitero Nazionale di Arlington per aver ricevuto la Medaglia della Stella d’Argento per meriti conseguiti durante la guerra in Vietnam, nel 1967).

Un’altra prima volta significativa per la storia della politica americana è l’elezione del primo governatore apertamente gay del Paese, Jared Polis, in Colorado.

Polis è democratico, è un filantropo, un imprenditore, ed è anche il primo omosessuale dichiarato mai eletto al Congresso, nel 2009, nel 2 Distretto del Colorado (sapendo di questa elezione non si può non pensare a quanto siano lontani i tempi di Harvey Milk, il celebre attivista e poi consigliere comunale di San Francisco, assassinato nel 1978 per il suo orientamento sessuale, interpretato nel 2008 da Sean Penn nell’omonimo film).

Jim McGreevy, ex governatore del New Jersey, fece outing durante il proprio mandato nel 2004, e Kate Brown, governatrice dell’Oregon dal 2016, è stata la prima esponente della comunità LGBTQ mai eletta a tale carica (invece Christine Hallquist, candidata democratica al governatorato nel Vermont, non ce l’ha fatta; sarebbe stata la prima transessuale eletta a governatrice negli USA).

I democratici comunque non hanno un compito facile davanti a loro pur essendosi assicurati la Camera, ma è innegabile che il loro risultato elettorale sia stato davvero notevole.

Negli USA esiste una vera e propria “cultura del voto”: dopo che ognuno ha eseguito il proprio dovere civico, si indossa con orgoglio l’adesivo “I voted” (www.express.co.uk)

Senza i giusti numeri molte riforme e iniziative a loro care, soprattutto nel campo dell’assicurazione sanitaria e del sociale, non si possono attuare, ma comunque il partito del’Asino Blu (i democratici) ha molto da festeggiare, avendo vinto in aree non si affermava da anni.

Gli stessi democratici sanno bene che adesso che occupano una posizione di potere devono fare molta attenzione e scegliersi bene le loro battaglie.

Le aree urbane e suburbane e i distretti agricoli soprattutto hanno mandato un chiaro messaggio con questa tornata elettorale: vogliono un “controllo” sulla presidenza Trump.

Al Senato, i democratici hanno ottenuto 45 senatori e perso 2 seggi, mentre i repubblicani hanno ottenuto la maggioranza con 51 senatori.

Tra i repubblicani una grande conferma, ma in bilico fino all’ultimo, Ted Cruz in Texas; una new entry eccellente, nello Utah, Mitt Romney, già candidato col partito repubblicano alle elezioni presidenziali del 2012, e il guadagno di 2 seggi. Non ci si aspettava fossero eletti 23 democratici e 42 repubblicani.  

Il Senato è rimasto in mano ai repubblicani e la battaglia elettorale si è svolta soprattutto nei feudi “tradizionali”, come il Midwest, o gli Stati con un’economia principalmente agraria, come il Deep South degli USA.

Bisogna dire che a livello “territoriale” non ci sono state grandi sorprese per il Senato: i democratici si sono confermati in Stati che erano abbastanza “certi” per loro quali la California, il New Mexico, la Virginia (dove ha vinto ancora il candidato alla vicepresidenza nel 2016 a fianco di Hillary Clinton, Tim Kaine), l’Illinois (per cui già Obama è stato senatore e per cui ha vinto il governatorato dopo una campagna parte fra le più costose delle elezioni midterm l’erede della catena alberghiera Hyatt, J. B. Pritzker), parte del New England (eccetto Maine e Vermont, dove si è riconfermato Bernie Sanders) New York e il Massachusetts, storici e tradizionali feudi democratici.

Per quando riguarda le vere “sorprese” per i democratici, sono avvenute in territori spesso  “in bilico” per le elezioni e hanno determinato la scelta del nuovo presidente sul filo del rasoio, come l’Ohio, il Michigan, il Wisconsin, il Minnesota, la Pennsylvania. 

 

Per quanto riguarda i repubblicani non ci sono state grandi sorprese al Senato: Stati come il Texas, aggiudicato all’ultimo da Ted Cruz, il North Dakota, il Wyoming, il Nebraska, il Tennessee, il Mississippi, sono rimasti repubblicani, come gran parte del centro degli USA.

(www.vox.com)

Per quanto l’Elefante Rosso (il partito repubblicano) si sia confermato al Senato, a livello di lotte per il governatorato le cose non sono state cosi certe e nette come potevano sembrare.

Ci sono stati vari scontri vinti dai repubblicani sul filo del rasoio, due esempi su tutti: in Florida, dove il già deputato Ron De Santis ha battuto col 49,7% il candidato democratico Andrew Gillum, già sindaco di Tallahassee (per cui anche Obama pochi giorni fa aveva fatto endorsement), che ha ottenuto il 49% e ha vinto in alcune delle maggiori aree dello Stato, come Miami, la sua Tallahassee, Orlando, Tampa, Jacksonville.

L’altro esempio di elezione dibattuta appena svoltasi è quello relativo alla Georgia, Stato tradizionalmente repubblicano del Sud, in cui concorreva come candidata democratica al governatorato Stacey Abrams, che se eletta sarebbe stata la prima  governatrice afroamericana della storia del Paese e avrebbe posto inevitabilmente l’attenzione su temi attuali e controversi come la discriminazione razziale al Sud, contro i neri soprattutto.

Nonostante l’endorsment di Oprah Winfrey che qualche giorno fa ha concludeso la campagna assieme a lui bussando ad ogni porta, e dopo il prolungamento dell’orario di apertura di alcuni seggi della Georgia, è stata sconfitta dal candidato repubblicano Brian Kemp col 50,5% dei voti (la Abrams ha ottenuto il 48% dei voti).

In Stati da sempre elettoralmente controversi come la Florida, elezioni come questa vinte al fotofinish per una manciata di voti inevitabilmente scatenano dubbi e polemiche riguardo alla legittimità con cui le operazioni di voto e di spoglio delle schede si sono svolte; ricordiamo come nel 2000 George Bush Jr abbia vinto le presidenziali pur con una grossa polemica da parte del suo rivale, Al Gore, proprio per il voto della Florida.

Con queste elezioni non sono stati soltanto decisi i nuovi deputati, senatori e governatori: nelle schede elettorali gli americani hanno anche trovato anche una lunga sequela di quesiti cui rispondere: sono stati ben 155 i referendum proposti.

La maggior parte di questi referendum hanno riguardato un tema sociale attuale e alquanto scottante per gli USA attuali: la copertura sanitaria.

Dopo l’approvazione dell’Obamacare (o Affordable Care Act) e poi il taglio deciso da Trump con un ordine esecutivo nel 2017 (che ha abolito le coperture sanitarie per i più poveri sostenendo che questo avrebbe permesso di aumentare la competizione e di abbattere i costi) pochi temi agitano di più la società americana.

Bisogna ricordare a tal proposito che negli USA non esiste un sistema sanitario nazionale come in Italia: ogni cittadino americano deve provvedere personalmente (e per la propria famiglia) a pagarsi qualsiasi cura, medicina o trattamento sanitario, pena l’esclusione totale.

 

Si è votato comunque su moltissimi fronti: dalla marijuana, all’aborto, all’esposizione dei Dieci Comandamenti in pubblico (approvata in Alabama). In California si è votato per bocciare un tetto imposto per i rimborsi dei malati bisognosi di dialisi, in Nevada per eliminare la tassazione sugli assorbenti igienici, in Florida si è votato per abolire la lotta fra cani, in Oklahoma si doveva decidere se includere le spese oculistiche nell’assistenza sanitaria, nello Stato di Washington c’era da decidere su una carbon-tax che penalizzerebbe le industrie che usano i carboni fossili.

Adesso, archiviate anche queste elezioni di medio termine, non resta che vedere come si comporterà il governo di fronte alla divisione che si è creata a Washington.

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