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Il muro di Berlino e la sua caduta: cinque fotografie per ricordarlo

Io me lo ricordo il Muro. Me lo ricordo perché per attraversarlo ho rischiato di farmi ammazzare. Ho passato tre anni in carcere e perso i miei più cari amici. E mi ricordo che quando cadde qualcuno disse: ‘”teniamone un pezzetto”…

Così gli attori Marco Cortesi e Mara Moschini iniziano uno dei loro spettacoli di teatro civileIl Muro – Die Mauer, che parla di quel muro di Berlino che ha condizionato per ventotto anni la vita dei berlinesi e che il 9 novembre 1989 veniva abbattuto, chiudendo, almeno formalmente, il periodo di tensioni che caratterizzò l’Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Le storie legate al muro, storie come quelle riprese nella citazione, storie di tentativi di fuga dalla Berlino Est, storie di famiglie separate o di soldati amichevoli, ecco, di queste storie ce ne sono centinaia. Oggi, nel giorno dell’anniversario della caduta del muro, ve ne ripropongo alcune, aiutandomi con cinque fotografie. Cinque fotografie per fare memoria.

 

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Di fotografie sulla costruzione del muro se ne trovano poche, probabilmente perchè la Germania Est voleva mantenere segrete le operazioni di costruzione per evitare una repentina e generale fuga verso l’Ovest, che, per altro, era già in corso.

«Nessuno ha intenzione di costruire un muro aveva dichiarato Walter Ulbrich nel giugno 1961, soltanto due mesi prima della sua effettiva comparsa. Le barriere, che prima di tutto erano di filo spinato, sorsero in una sola notte, tra il 12 e il 13 agosto 1961, e solo in seguito si trasformarono in calcestruzzo e cemento. Per questo, si può affermare che questa sia una delle prime fotografie legate al muro: un soldato aiuta un bambino a scavalcare il neonato, e ancora in filo spinato, muro di Berlino.

Le motivazioni sono a noi sconosciute: forse i componenti della famiglia erano rimasti separati, quella notte di agosto, e il soldato fu mosso dalla pietà o dalla volontà di ricongiungerli, o, magari, fu soltanto spinto da solidarietà e umanità. Non sappiamo nemmeno la sorte dei due protagonisti della fotografia: qualcuno dice che entrambi siano stati freddati da un cecchino sovietico, altri parlano invece di versioni a lieto fine. Fatto sta che gli occhi del soldato, spalancati e volti a lato, probabilmente per controllare la presenza di eventuali testimoni o soldati, e le braccia tese del bambino, parlano meglio di mille parole della drammaticità e disperazione di quei momenti.

Immaginate di svegliarvi, una mattina, e trovare un muro a metà di una strada che voi abitualmente percorrevate. Immaginate di sapere che dall’altra parte avete una figlia, un amico, o la fidanzata. Immaginate il dolore, la paura, lo smarrimento. Poi, guardate la prossima fotografia.

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Eccoli, due fidanzati separati dal muro. Non si conosce la data di scatto di questa fotografia, ma, vedendo il buco nel muro, si può ipotizzare che sia stata scattata verso la fine dei suoi anni di esistenza, o magari, addirittura dopo la caduta.

Questo non toglie potere alla fotografia, al sorriso della ragazza, alla freddezza e senso di divisone di quelle sbarre di ferro, a quei graffiti, oggi trasformati in opere d’arte nella East Side Gallery, che mostrano come, anche nei momenti più bui, l’uomo cerchi di esprimersi in quanto uomo o di lasciare una traccia di sè e della propria storia.

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15 agosto 1961, due giorni dopo la comparsa delle prime barriere di filo spinato. Conrad Schumann, giovane soldato diciannovenne, salto il filo spinato, entrando nella Berlino Ovest al grido di “Benvenuto in Occidente!” e diventando un simbolo universale di libertà. Il soldato affermerà, in successive interviste, di averlo fatto a causa della rabbia montatagli in corpo dopo aver visto un bambino trascinato via, lontano dall’Ovest, dalla polizia della Berlino Est.

Parlerà anche della paura che aveva preceduto quel salto: era ben chiaro a tutti che il neonato muro era lì per non essere scavalcato, e che le ripercussioni sarebbero state notevoli: Conrad, e come lui tutti coloro che tentarono di scavalcare fisicamente il muro o di far arrivare informazioni dall’altra parte, rischiarono e a volte subirono, pesanti incarceramenti, punizioni e, a volte, la morte. In particolare, le persone uccise nel tentativo di scavalcare il muro si stimano essere 200, mentre circa 5000 riuscirono a superarlo con i più ingegnosi stratagemmi.

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9 novembre 1989: a seguito di un malinteso, il funzionario del Partito di Unità Socialista di Germania (SED) nella DDR, ovvero nella Germania Est, annunciò entrate in vigore le norme che permettevano le visite nella Germania Ovest e, di fatto, l’apertura della frontiera Est-Ovest. Questo creò un’enorme folla che tentò di passare dall’altra parte attraverso i checkpoint dando inizio alla caduta del muro di Berlino.

Sono centinaia le fotografie che ritraggono questo momento: l’allegria, il sollievo, il senso di libertà ritrovata sono evidenti. Il muro venne, in molte zone, letteralmente fatto a pezzi, giovani con il piccone provarono a demolire quel simbolo di divisione, altri lo scavalcarono, si sedettero in cima con le mani in alto rendendosi conto che, finalmente, potevano farlo senza rischiare la morte.

Eccola, in questa fotografia, la folla che aspetta la caduta del muro, ma ecco anche i soldati, sull’attenti, ma con l’accenno di un sorriso sul viso: sorridono, insieme alla folla, respirano la libertà ritrovata. Libertà che noi, oggi, abbiamo, ma che tanti non hanno, e che tanti vogliono limitare. Il concetto di “muro” ci sembra lontano, impossibile: ma la parola torna, spesso, troppo spesso. Pensiamoci. E pensiamo al concetto di libertà mentre ci approcciamo all’ultima storia: quella di Peter Fechter.

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Il 17 agosto del 1962 Peter Fechter aveva 18 anni, faceva il muratore nella Germania Est e sognava la verità. Insieme all’amico Helmut, decise di tentare l’impresa che molti definivano impossibile: scavalcare il muro. Per farlo, scelsero di nascondersi nella bottega di un falegname che aveva una finestra sporgente oltre il muro, su quella che veniva definita la “striscia della morte”, tra il muro più interno e quello più esterno, che andava scavalcato per arrivare effettivamente nella Germania Ovest.

Helmut riuscì nell’impresa, ma Peter fu colpito da uno dei cecchini dell’Est, e ricadde nella striscia della morte, accanto al muro, davanti agli occhi di centinaia di testimoni, e dei soldati della Germania Ovest, che ricevettero, nonostante le sue urla di aiuto, l’ordine di non aiutarlo. Peter morirà dopo un’ora di agonia, tra le urla della folla, che dava ai soldati e ai governi di entrambi le parti, degli assassini.

Oggi, là dove si ergeva il muro, in Zimmerstasse, c’è un piccolo monumento in suo ricordo, a pochi passi dal più noto Checkpoint Charlie. “Er wollte nur die Freiheit”:

Voleva solo la libertà.

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