La libertà di stampa è così definita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo.
“Chiunque ha il diritto alla libertà di opinione ed espressione; questo diritto include libertà a sostenere personali opinioni senza interferenze ed a cercare, ricevere, ed insegnare informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo informativo indipendentemente dal fatto che esso attraversi le frontiere”.
L’UNESCO con l’articolo 19 ha sancito che “Ogni individuo ha il diritto di avere le proprie opinioni senza interferenze e di cercare e ricevere informazioni e idee da qualsiasi media, senza curarsi delle frontiere o dei confini”.
La libertà di stampa è una delle caratteristiche essenziali di ogni Stato di diritto e democratico, presuppone che ogni cittadino abbia il diritto di esprimere liberamente in qualsiasi modo, scritto o orale, le proprie opinioni.
Si ritiene che sia stato Edmund Burke nel 1787 a coniare l’espressione quarto potere, quando disse che c’erano “Tre Stati nel Parlamento [francese]; ma laggiù nella galleria dei giornalisti, risiede un Quarto Stato molto più importante rispetto a tutti gli altri”. In Italia l’espressione è diventata famosa anche grazie al film di Orson Wells Citizen Kane, o a Quarto Potere, del 1941.
A livello ideologico i primi sostenitori della libertà di stampa sono stati i liberali fra Seicento e Ottocento.
La stampa in Italia
Italia pre-unitaria:
I primi provvedimenti a favore della libertà di stampa in Italia risalgono al 1847-49, sotto il regno di Carlo Alberto in Piemonte.
Nello Statuto Albertino del 1848 e nel successivo Editto sulla libertà di stampa, si limitava molto il potere della censura in Italia.
L’articolo 28 dello Statuto Albertino prevede che: “La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo”.
Nel nostro Paese la censura è stata una vera e propria piaga sociale introdotta principalmente dagli austriaci nel Lombardo-Veneto, con lo scopo di limitare il più possibile la libertà d’espressione; è stata come una specie di piovra che ha esteso i propri tentacoli un po’ ovunque, dai libri, ai movimenti carbonari, alla musica di Verdi.
Italia post-unitaria:
Le principali leggi che regolano la libertà di stampa in Italia nel periodo post-unitario risalgono alla presidenza Giolitti, nel 1912, che ideò una riforma liberale in tal senso e introdusse anche il suffragio universale (maschile).
Tali leggi furono abrogate nel 1926 dalle cosiddette Leggi fascistissime approvate dal governo Mussolini e ulteriormente rafforzate dal nuovo Codice penale italiano approvato nel 1930 dal ministro della giustizia fascista Alfredo Rocco (che è quello tutt’ora in vigore, seppur ampiamente modificato e riveduto).
Una volta caduto il regime fascista e terminata la seconda guerra mondiale, la neonata Repubblica italiana nel 1948 sancì tramite l’articolo 21 della propria Costituzione quanto segue:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni“.
La libertà d’espressione era intesa allora soprattutto come libertà di pubblicazione dei testi a stampa; l’unica limitazione imposta dai padri costituenti fu quella relativa al “buon costume”.
L’8 febbraio del 1948 fu emanata una legge sulla libertà d’espressione che abrogava ufficialmente quanto emanato dal regime fascista, questa norma sanciva anche che su ogni pubblicazione fossero ben visibili il nome dell’editore e dell’autore, sanciva le responsabilità dell’editore e del direttore (in caso di pubblicazione a stampa). Fu riconosciuto per la prima volta il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Qual’è la situazione attuale in Italia?
Il nostro è sempre stato ritenuto un Paese press- e media-freindly ma nel 2004 il rapporto periodico dell’ONG statunitense Freedom House sulla “salute” e l’indipendenza della libertà di stampa ha qualificato l’Italia come una nazione “parzialmente libera” (partly free).
Il 2004 è stato l’anno della “legge Gasparri”, dal nome dell’allora ministro per le telecomunicazioni del governo Berlusconi (fondatore del maggior gruppo di telecomunicazioni privato in Italia), che ha sancito una significativa limitazione delle attività dell’ente pubblico radiotelevisivo, la RAI.
La legge prevedeva un limite alla quantità di programmi e alla raccolta di risorse economiche, la proibizione di conseguire ricavi superiori al 20% dal sistema complessivo delle telecomunicazioni, il passaggio obbligatorio dall’analogico al digitale entro il 31 dicembre 2006, e diversi canoni per l’abilitazione ai ruoli di operatore di rete o fornitore di contenuti televisivi o radiofonici.
E’ ormai noto: molte testate in Italia sono gruppi privati, ma gli editori o sono schierati politicamente o sono diventati politici a loro volta.
Lo Stato ha esteso la propria influenza sulla radiotelevisione: la RAI era nota per aver equamente “diviso” i propri primi tre canali televisivi (e la direzione dei rispettivi canali e telegiornali) fra i principali tre partiti politici del dopoguerra: Rai Uno era stata assegnata alla Democrazia Cristiana, Rai Due al Partito Socialista e Rai Tre (nata nel 1975 con la relativa legge di riforma della RAI) era monopolio del Partito Comunista. Ancora oggi il retaggio di questa suddivisione politica della RAI è visibile.
Svariati sono stati gli episodi di censura documentati in Italia, e l’utilizzo di internet più volte è stato soggetto a limitazioni.
Qual è la situazione della liberà d’espressione nel mondo?
La Freedom House nel 2009 nel proprio rapporto annuale ha definito l’Europa come un continente “parzialmente libero” (partly free) per quanto riguarda la libertà di stampa.
L’altra grande ONG che si occupa ogni anno di vigilare sulla salute della libertà di stampa diffondendo i propri dati tramite un rapporto è Reporter Senza Frontiere, che si occupa (come suggerisce il nome) di misurare la qualità del lavoro e del trattamento dei giornalisti, reporter e addetti dell’ambiente in tutto il mondo.
Per entrambe le ONG il principio della libertà di stampa e d’espressione è strettamente legato all’indipendenza della stampa e dell’espressione.
Come si evince dalla mappa di cui sopra, nella maggior parte del mondo la libertà di stampa (e di espressione, di conseguenza) non godono esattamente di buona salute, anzi: si potrebbe dire che in due terzi delle terre emerse le persone non siano del tutto libere di esprimere le proprie idee, o di manifestare le proprie opinioni personali con ogni mezzo.
Ogni Stato democratico degno di questo nome prevede (e quantomeno dovrebbe) la libertà d’espressione: se questa manca o è fortemente limitata da scontri con la propaganda messa in atto dagli Stati o dai regimi, è un evidente segnale che anche la democrazia attualmente nella maggior parte del mondo non gode esattamente di ottima salute.
Ogni anno troppi giornalisti, reporter e collaboratori dell’ambiente perdono la vita per il loro lavoro o mentre svolgono il loro lavoro.
Con l’avvento dei social network com’è cambiata la situazione?
I social network hanno plasmato la nostra era e possono essere ritenuti la “continuazione” 2.0 dell’idea di libertà d’espressione sette-ottocentesca.
Hanno consentito a chiunque di esporre su internet più o meno “liberamente” e senza filtri particolari le proprie idee, opinioni, di intavolare discussioni, e hanno anche permesso di promuovere se’ stessi e le proprie opere (di qualsiasi genere).
Essendo dunque i social network un’immensa “arena” pubblica estesa a tutto il mondo, in cui tutto in apparenza è concesso e lecito e in cui chiunque può esprimere anche con veemenza le proprie idee, esiste un “rovescio della medaglia” o è un mondo del tutto positivo?
Mancano ancora regole di fondo valide per tutti gli utenti, mancano filtri, controlli di sicurezza, ossia tutte quelle limitazioni che però sono “sane” perché necessarie in un mondo come quello di internet e dei social che è un po’ come il Far West: è campo libero, dunque non sempre controllato e protetto.
Certo, molto in questo campo resta da fare evidentemente. Quanti episodi tragici abbiamo sentito a questo proposito relativi al cyberbullismo, in cui i social hanno giocato un ruolo fondamentale nella fine della vita di troppe persone.
Qualcuno ha definito il mondo dei social un “pluralismo 3.0”, in cui tutto è concesso, in cui vige (o potrebbe vigere sempre di più) l’anarchia più totale dal punto di vista linguistico, morale, culturale.
Ormai i social hanno un ruolo concreto nella vita di molte persone e in molti si sentono in dovere-diritto di dire la loro su una miriade di questioni (anche quando non interpellati), parlando non sempre a proposito o con cognizione di causa.
Umberto Eco nel 2015 ricevendo una laurea honoris causa a Torino ha definito “legione di imbecilli” molti utenti dei social media investiti del diritto di parola. Ma ormai tutto il nostro mondo è social, dunque potremmo essere tutti “imbecilli” in questo senso.
Abbiamo ormai tutti imparato a conoscere bene l’espressione Fake news: è quella massa in apparenza infinita di informazioni false, messe in circolazione apposta per disorientare, per confondere, per disinformare il cittadino o per porli in antagonismo gli uni con gli altri.
Nei social quotidianamente siamo immersi in una marea di informazioni, foto, video, affermazioni, proclami, dottrine varie: appunto per la mancanza di “filtri” tutto passa, tutto è valido e convincente e nulla non lo è.
Il rapporto fra le persone è radicalmente cambiato con l’avvento dei social, e un’altra cosa che è mutata rispetto anche solo a dieci o quindici anni fa è il rapporto ormai diretto anche fra cittadini e politica.
Ormai quasi ogni politico in Italia e all’estero ha almeno un profilo social, e se ancora qualcuno non ce l’ha deve provvedere ad aprirlo subito, se ambisce ad avere un’ascendenza sui propri cittadini.
Questo, come il discorso sugli effetti “benefici” dei social, certamente in linea di massima potrebbe essere positivo perché avvicina i cittadini alla politica, ma non è del tutto positivo: in questo modo si perdono filtri, regole, spesso e volentieri si fa propaganda, non si instaura un dialogo positivo atto all’informazione.