Cosimo de Medici, o Cosimo il Vecchio
Cosimo di Giovanni de Medici è stato il Pater Patriae di Firenze, il vero artefice della fortuna della famiglia insieme a suo padre, Giovanni di Bicci, ma ha goduto (e gode) di maggiore fama.
Nella fiction di Rai Uno I Medici, il personaggio di Cosimo de Medici è stato interpretato nella prima stagione da Richard Madden, mentre in quella attualmente in onda da Derek Jacobi.
Le origini
Cosimo de Medici nacque a Firenze il 27 settembre 1389 da Giovanni di Bicci e Piccarda Bueri. Sin dalla più tenera età fu educato, come era uso fra le famiglie benestanti dell’epoca, alle materie classiche, alla guerra, e alla finanza (come si confaceva ad un futuro signore e capofamiglia), e manifestò un’ inclinazione particolare per l’arte.
Per assecondare questa passione, a seguito della permanenza presso i monaci camaldolesi per i propri studi, decise di restare nell’ambito dei circoli umanistici fiorentini per affinare la propria educazione.
Molto giovane, nel 1415, Cosimo divenne priore di Firenze, dopo aver già iniziato a ricoprire importanti cariche diplomatiche per la città, come accompagnare l’antipapa Baldassarre Cossa, al secolo Giovanni XXIII, grande amico e alleato di suo padre, al Concilio di Costanza. Dopo la caduta in disgrazia del Cossa, Cosimo rimase in Germania, e viaggiò in varie parti d’Europa.
Ebbe così modo di crearsi un’esperienza davvero invidiabile viaggiando, osservando, allargando i propri orizzonti come non molti ai tempi avevano modo di fare. Anche questo contribuisce a renderlo unico.
L’ascesa
Tornò a Firenze soltanto nel 1416 per sposarsi, come confaceva ad un rampollo di una famiglia importante. Si sposò con una ragazza di un’altra grande famiglia fiorentina, Contessina de Bardi (nella fiction interpretata da Annabel Scholey).
Nonostante la caduta in disgrazia dell’amico e alleato Giovanni XXIII, Giovanni e Cosimo de Medici non persero la preziosissima vicinanza al Papato, e mantennero la carica di banchieri del vescovo di Roma, che allora era Martino V, al secolo Oddone Colonna.
Quando Giovanni di Bicci si ritirò dagli affari pubblici nel 1420, Cosimo e suo fratello Lorenzo gli succedettero nella gestione del Banco Medici, uno dei più ricchi e fiorenti dell’epoca, talmente potente che aprì filiali a Londra, Parigi, Bruges e in altre città in Italia e in Europa, e consentì loro di accumulare un patrimonio familiare davvero enorme.
Cosimo mantenne la sua grande prudenza, la sua sagacia, l’intraprendenza da uomo d’affari; mantenne sempre volutamente un basso profilo, non ostentò mai nulla di ciò che aveva (noblesse oblige) ma non esitò ad approfittare di ogni occasione che gli si presentava per accrescere il suo potere e la sua reputazione come abilissimo businessman e mecenate, il più grande che Firenze avesse mai avuto fino a quel momento.
Cosimo non esitò a ricorrere alla corruzione e al clientelismo, anche quando il padre Giovanni era ancora in vita, non c’era ostacolo abbastanza grande da fermare la sua ambizione.
Quando Giovanni morì, Cosimo divenne il capofamiglia dei Medici e di fatto il vero padrone di Firenze. Non esitò ad allearsi con altre potenti famiglie fiorentine (che erano la reale spina dorsale della città, quanto a denaro e potere), come già aveva fatto sposando una ragazza dei Bardi.
I Medici infatti avevano bisogno comunque di legittimarsi agli occhi degli altri fiorentini: il rischio di sembrare sempre dei poveri contadini del Mugello (la loro zona di provenienza) che si erano arricchiti, era alto e Cosimo non poteva permettere che accadesse.
L’inizio dei problemi
Inevitabilmente, come era accaduto già a Giovanni di Bicci, una ricchezza come quella dei Medici non poteva non suscitare invidie, gelosie, insinuazioni in città. Firenze non era uno Stato aristocratico, ma c’erano comunque alcune famiglie ricche e potenti (e i Medici erano gli ultimi arrivati in quest’élite) che in un modo o nell’altro dettavano legge in città.
Cosimo dovette scontrarsi più volte con gli Strozzi e gli Albizzi. Il consesso delle eminenti famiglie fiorentine da decenni, (da dopo il Tumulto dei Ciompi del 1382 con cui il popolo aveva tentato di assumere il potere), era “governato” dagli Albizzi, soprattutto da Maso degli Albizzi, che aveva conquistato Pisa e aveva tenuto testa alle truppe di Giangaleazzo Visconti duca di Milano. Il figlio di Maso, Rinaldo Albizzi, insieme agli alleati Niccolò da Uzzano e Palla Strozzi, prese a disperdere il prestigio paterno.
Firenze oltretutto era cronicamente alla ricerca di denaro, le guerre con Milano l’avevano lasciata quasi sul lastrico, e un uomo potente e soprattutto ricchissimo come Cosimo de Medici non poteva non attirare su di sé tutti gli sguardi e le attenzioni in un momento delicato come quello, in cui il potere era in bilico e il denaro mancava. Era una vera mosca bianca, che spiccava per denaro, potere e spregiudicatezza.
Le accuse
Rinaldo Albizzi e Palla Strozzi intesero accusare Cosimo di attentare alla democrazia di Firenze aspirando a diventare un dittatore e lo vollero incarcerarlo per eliminare il pericolo che rappresentava (Niccolò da Uzzano era contrario ma morì prima che l’operazione fosse attuata dunque non si potè opporre). Cosimo fu arrestato nel Palazzo dei Priori il 5 settembre 1433, e fu incarcerato per ordine del Gonfaloniere Bartolomeo Guadagni.
La famiglia temeva che sarebbe stato ucciso nella concitazione generale, ma Cosimo fu imprigionato in una cella della Torre di Arnolfo a Palazzo Vecchio, dove si rifiuto di mangiare qualsiasi cosa, temendo che il cibo fosse avvelenato.
Ottenuto di poter ricevere cibo “sicuro” da casa sua e avendo corrotto la guardia che si occupava di lui, Cosimo dalla prigione organizzò una sollevazione popolare a suo favore e a favore dei Medici.
L’esilio
Il governo di Rinaldo Albizzi, temendo rivolte a favore di Cosimo in città, commutò la pena in esilio, così egli lasciò Firenze andando alla volta prima di Padova poi di Venezia, dove aveva sede una filiale importante del Banco Medici.
Dall’esilio veneziano Cosimo non perse mai di vista la situazione di Firenze, e preparò il suo ritorno. Nel 1434 la città del Giglio lo richiamò dopo aver nominato un governo interamente favorevole ai Medici. Un potere come quello non poteva lasciar spazio ad altri comprimari o rivali, le conoscenze e gli alleati dei Medici erano in tutt’Europa anche grazie al loro Banco.
La grande abilità dei Medici consisteva nel non vantarsi mai di essere ciò che non erano (nobili non lo erano ancora al tempo di Cosimo), e mantennero sempre un rapporto diretto col popolo di Firenze, donando alla città e, non solo, uno dei capitoli più splendenti e unici della nostra storia: il Rinascimento.
Il ritorno a Firenze
Cosimo tornò dunque in città da vincitore, da vero padrone; spedì gli avversari in esilio, e dopo essersi sgombrato il campo da ogni possibile avversario, fu libero di imporsi, ma lo fece sempre con “discrezione”, apparentemente come un’eminenza grigia che manovrava i fili da dietro le quinte e mai esponendosi pubblicamente.
Tutti in Italia e in Europa sapevano che Cosimo rappresentava il vero potere a Firenze, pur non avendo quasi nessun ruolo istituzionale. Chi voleva incontrare il signore della città doveva recarsi presso il suo magnifico palazzo, nell’allora Via Larga (oggi Via Cavour), diventato la vera reggia dei Medici.
Vivere nella Firenze del Quattrocento doveva essere una gran fortuna: veder nascere l’umanesimo e il Rinascimento, incontrare dal vivo le menti più brillanti e alcuni degli artisti più geniali della storia dell’arte.
Quali furono le maggiori iniziative di Cosimo da legislatore e politico “dietro le quinte”?
Nell’ambito fiorentino, Cosimo legò totalmente a sé la balia economica della città; ottenne anche di poter controllare totalmente i meccanismi della cariche elettive di Firenze. Inoltre fu lui che creò il Consiglio dei Cento, anticipatore del Consiglio del Popolo, organo deputato alla “mediazione” (in senso filomediceo ovviamente) delle leggi che doveva vagliare la Signoria.
In politica estera, Cosimo proseguì l’alleanza ormai consolidata di Firenze con la Repubblica di Venezia contro il ducato di Milano: da parte sua il nuovo duca, Filippo Maria Visconti, figlio di Giangaleazzo Visconti, rinnovò l’avversione contro Firenze sostenendo Lucca con l’invio di un contingente militare comandato da Niccolò Piccinino nella guerra che la vedeva contrapposta in quel momento contro Firenze. La città del Giglio era allo stremo delle forze e fu salvata soltanto dalle truppe del mercenario Francesco Sforza, all’epoca al soldo dei veneziani, alleati di Firenze, nella battaglia di Barga (1437).
La battaglia di Anghiari
Lo scontro decisivo fra Firenze e Milano ci fu però il 26 giugno del 1440, quando presso la cittadina di Anghiari l’esercito dei Visconti fu battuto dai fiorentini guidati dal cugino di Cosimo, Bernadetto de Medici, da Neri di Gino Capponi e da Micheletto Attendolo.
Dopo questi fatti, Milano non fu più un pericolo per Firenze e Cosimo strinse un legame particolare col mercenario Francesco Sforza, al punto che sarà proprio a lui che andrà il ducato di Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti, grazie alle numerose sovvenzioni economiche di Cosimo.
Il nuovo rapporto con Milano
Dopo la scomparsa del Visconti, la posizione di Cosimo in Italia si rafforzò ancora di più. Il rapporto con Venezia entrò in crisi per le rivalità commerciali crescenti, Firenze aveva bisogno di un nuovo alleato e Cosimo temeva che dall’indebolimento dell’alleanza con la Serenissima provenisse un rafforzamento di Milano e la perdita di potere dei Medici.
Per cui, dovendo tenere a bada un nemico potenzialmente letale, Cosimo si alleò con Milano piuttosto che combatterla. A Firenze la gente era ancora più ostile verso Venezia dopo la fine dell’alleanza, perché la Serenissima si era alleata con l’odiata Siena, che contendeva a Firenze il predominio in Toscana.
La guerra tra Venezia e Milano proseguì fino al 1454 quando, con la fondamentale intercessione di Cosimo e di papa Niccolò V, fu siglata la Pace di Lodi.
Il legame con i Papi porta lustro alla città
Il legame ormai privilegiato fra Firenze e la Santa Sede, in quel momento rappresentata da Eugenio IV, e il potere immenso di Cosimo fecero si che nel 1439 si tenesse proprio sulle rive dell’Arno, il Concilio ecumenico in cui si discuteva se si potessero unire o meno la Chiesa latina e la Chiesa bizantina.
Firenze in quel momento era il centro del mondo, raccoglieva i vertici non solo di entrambe le Chiese ma anche i maggiori politici ed intellettuali, e la pubblicità e il prestigio che ricevette dall’evento furono immensi. Tutto dovuto all’abilità di Cosimo de Medici.
La malattia
All’epoca della Pace di Lodi Cosimo era già anziano, provato dalla gotta, che era la malattia dei ricchi, che consumavano troppa carne. La gotta provocava un eccesso di acidi urici, rigonfiamenti corporei (ecco perché le vesti erano cosi abbondanti e ci saranno tante gorgiere, che nascondevano i colli, nei ritratti del Cinquecento e del Seicento).
La gotta sarà la malattia che affliggerà per tutta la vita anche il figlio ed erede di Cosimo, Piero. Cosimo si defilò progressivamente dalla vita pubblica, lasciandi la gestione del Banco Medici al figlio secondogenito Giovanni, suo prediletto (che però morì prematuramente nel 1463 dandogli un grande dolore, dato che proprio in lui aveva riposto tutte le speranze di successione, poiché il primogenito Piero era continuamente tormentato dalla gotta).
Cosimo demandò la gestione degli affari pubblici a Luca Pitti, che però presiedette un governo estremamente impopolare. L’ultima iniziativa pubblica di Cosimo fu la nomina di Poggio Bracciolini a Cancelliere della Repubblica di Firenze.
La fine di un’era
Gli ultimi anni di vita furono molti difficili per Cosimo, tra la salute che peggiorava, i tanti dolori e lutti, non ultimo la morte dell’amatissimo figlio Giovanni.
Il primogenito Piero era sempre malato ma era a lui che si doveva rivolgere se voleva preparare la successione: gli affiancò vari consiglieri validi, sperando che bastasse. L’unica gioia della fine della sua vita fu il nipote Lorenzo, il figlio primogenito di Piero, che gli ricordava forse molto lui stesso da giovane, così vivace, intelligente, acuto.
Cosimo morì nella villa di Careggi il 1 agosto 1464.
La sua scomparsa colpì profondamente la città di Firenze e non solo, dato che tutta l’Italia e l’Europa avevano rapporti con lui. Per omaggiare il suo cittadino più illustre, la Signoria voleva dare a Cosimo un funerale di Stato come si confaceva ad un capo di Stato, ma Piero de Medici si oppose sostenendo di voler far rispettare le volontà del padre, che voleva un funerale da privato cittadino.
Non si potè però opporre all’immenso onore che il popolo volle conferire a Cosimo de Medici: fu scritto sulla sua tomba, nella chiesa di San Lorenzo (realizzata dal Verrocchio e posta all’incrocio della navata centrale col transetto, dove di solito si pongono le reliquie dei santi) Pater Patriae, ossia Padre della Patria, un onore che davvero nessuno prima di lui aveva avuto.