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Viaggi “d’autore”: la Dublino di James Joyce

Quello tra James Joyce e Dublino è stato un legame conflittuale ma indissolubile, una sorta di “odi et amo” in perenne oscillazione.

La Dublino di Joyce, città che nel 1882 dà i natali allo scrittore e dalla quale sarà poi separato per un esilio auto imposto, è una crudele matrigna che lascia morire di fame i propri figli.

Resterà però il luogo della memoria, dell’infanzia, fino a diventare per lo scrittore quasi un’ossessione: sarà infatti minuziosamente descritta in opere come “L’Ulisse” e “Gente di Dublino”, in maniera dettagliata e quasi maniacale.

Tanto che solo il passeggiare per la città significa ripercorrere fisicamente i capitoli dei suoi libri, seguendo l’eco dei passi di Leopold Bloom e di tutti i personaggi che popolano la Dublino di carta di Joyce.

Egli stesso dichiarerà:

Ho voluto dare un’immagine così completa di Dublino, che se un giorno la città dovesse improvvisamente sparire dalla faccia della Terra, potrebbe essere ricostruita sulla base del mio libro.

 

A Dublino con James Joyce

 

Personalmente sono sempre stata affascinata dall’Irlanda, e da questa città in particolare, anche grazie al contributo prezioso dei libri di Joyce che studiavo a scuola da ragazzina.

Arrivata a Dublino ho avuto infatti l’impressione di rivivere luoghi già vissuti, come in un meraviglioso déjàvu.

©martinabruno

Anche se la Dublino di Joyce è diversa da quella attuale, ripercorrere i passi dell’autore qui è semplice: non vi è luogo che egli non riporti tra le pagine delle sue opere.

Iniziando proprio dal James Joyce Center, al numero 35 di North Great George’s Street, luogo in cui si svolgono tutte le attività durante il “Bloomsday”.

©Pinterest

Il Bloomsday, che si festeggia il 16 giugno, è una ricorrenza dedicata proprio al protagonista de “l’Ulisse” di Joyce, Leopold Bloom.

Le origini della festa risalgono al 1954, quando un gruppo di scrittori irlandesi, seguaci di Joyce, uscirono per le strade di Dublino il 16 giugno con lo scopo di ripercorrere i passi del protagonista nel libro e di visitare i luoghi descritti nel romanzo.

La data è la stessa dei fatti riportati ne “l’Ulisse”.

Joyce scelse questa data per il più romantico dei motivi: il 16 giugno 1904 fu il giorno in cui egli  uscì per la prima volta con Nora Barnacle, l’amore della sua vita.

Il James Joyce Center è dunque tappa fondamentale da visitare per rivivere la Dublino di Joyce, soprattutto durante il Bloomsday!

Meta fissa, nonché ulteriore omaggio allo scrittore, è ovviamente la statua a lui dedicata situata all’incrocio con Earl Street North.

©martinabruno

Il cappello calato sul volto, la mano in tasca, appoggiato al suo bastone, dietro la montatura degli occhiali guarda il cielo della sua Dublino, senza mai vederla davvero.

Adorata dai turisti, che amano immortalarsi al suo fianco, ma molto meno dai locali, che hanno soprannominato la statua “the Prick with the Stick” ( “l’idiota col bastone”), probabilmente consapevoli del rapporto conflittuale dello scrittore con la città, chissà.

Il mio viaggio sui passi dell’autore non poteva non portarmi anche all’Irish Writers Museum, meta di rilevante importanza culturale.

Qui, in un elegante palazzo ottocentesco, sono messe in mostra le opere di tantissimi artisti irlandesi: dallo stesso Joyce a Swift, fino a Wilde, Yeats, Beckett e Shaw.

La Dublino di Joyce prosegue ora presso i luoghi in cui riecheggiano i passi di Leopold Bloom:

il Cimitero di Glasnevin, dov’è ambientato il sesto capitolo del libro, immenso e suggestivo, che i seguaci di Joyce raggiungono in carrozza durante il Bloomsday;

il Belvedere College, scuola che lo stesso Joyce frequentò dagli 11 ai 16 anni e in cui ambientò parte del “l’Ulisse”;

la Sweeny’s Pharmpacy, in Lincoln Place, rimasta immutata nel tempo, esattamente come la descrive l’autore nella sua opera più famosa;

il numero 7 di Eccels Street, dimora della famiglia Bloom, oggi divenuta un ospedale (la porta originale è esposta al James Joyce Center);

il Davy’s Byrne Pub, al 21 di Duke Street, dove Bloom  mangia un panino al gorgonzola (e in cui io ho invece gustato un ottimo stufato alla Guinness);

e infine, la James Joyce Tower and Museum, la famosa torre a Martello costruita nel diciannovesimo secolo in difesa dall’invasione napoleonica che ospita un museo dedicato alla vita e alle opere dello scrittore.

Qui è inoltre ambientato il primo capitolo de “l’Ulisse”.

Seguendo i passi di Joyce e perdendomi di tanto in tanto, mi sono innamorata di questa città.

Della Dublino di Joyce e di quella vissuta da me.

Dublino è cultura, è arte, è magia.

Magia che si percepisce passeggiando lungo il Liffey con un Irish Coffee bollente in mano.

Camminando tra le strade illuminate di tanto in tanto da qualche timido raggio di sole.

Passeggiando sulla Temple Bar area, quando le prime note distratte di musica irlandese iniziano a inebriare le strade.

©martinabruno

Tra i volumi antichi e l’odore di polvere nella Old Library del Trinity College. Fantasmi di artisti che vagano inquieti, Burke, Jonathan Swift, Oscar Wilde, Beckett.

©martinabruno

Un silenzio incantato, interrotto soltanto dal rumore sommesso di passi.

©martinabruno

Le porte colorate delle case di Dublino, non ce n’è una uguale all’altra.

Il fantasma di Molly Malone che vaga per le strade nelle notti di nebbia.

©martinabruno

Il cibo.

Tutto, sul serio.

Dall’ Irish Guinness beef stew (stufato alla Guinness) alla Dublin Coddle (test. Coccola di Dublino), il garlic bread, la full Irish Breakfast, i biscotti al burro e gli scones, lo Smoked Salmon ed il tradizionale Fish&Chips.

Le serate nei pub, Il Temple Bar, il Brazen Head, l’Oliver St. John Cogarty, il Quays.

Una Guinness in mano seduta su uno sgabello traballante, musica dal vivo ogni sera. Musica irlandese, of course. Brindare tutti insieme ripetendo sláinte!“, che significa “salute!

La poesia e l’incanto del gaelico, la lingua dei celti.

Il cielo d’Irlanda.

Dublino è questo, è molto altro, è incantata, senza tempo. Dublino la senti scorrere nelle vene, ti resta dentro, per sempre.

E qui, tra gli scaffali polverosi di una biblioteca,  ci lascio un pezzo di cuore.

 

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