Da Venezia a Rio, da New Orleans a Cadice, in tutto il mondo gente di ogni etnia si riversa per le strade mettendo da parte inibizioni e morale nel giorno che comunemente precede il “Mercoledì delle Ceneri”.
In molti oggi credono che il Carnevale sia la festa cristiana che precede la Quaresima:
i 40 giorni prima della Pasqua, periodo che equivale ai giorni di digiuno di Gesù nel deserto.
Ma che cosa c’entra tutto questo con il cattolicesimo?
Innanzitutto, la parola Carnevale deriverebbe dal latino “carnem levare”, ossia “togliere la carne”.
Ancora oggi infatti, durante la Quaresima, alcuni fedeli si astengono dall’ingerire carne fino alla Pasqua.
Per questo motivo nacque l’usanza, il giorno prima dell’inizio di Quaresima, di fare enormi abbuffate di carne ed altre delizie, per poi affrontare il digiuno.
Tuttavia le vere origini del Carnevale sono di molto anteriori al Cristianesimo.
Già nell’antica Roma, Febbraio era considerato un mese di passaggio. Februare in latino significa infatti “purificare”.
Si svolgeva in questo periodo la festa dei Lupercali, legata a riti di fecondazione caratterizzati da situazioni grottesche che ricordano lo stile carnevalesco.
Celebri sono inoltre le feste dionisiache:
in onore di Dioniso, dio del vino, erano caratterizzate dal raggiungimento di uno stato di ebbrezza ed esaltazione entusiastica, che sfociavano in vere e proprie orge.
E non vanno dimenticati i Saturnali, festa popolare dell’antica Roma in onore di Saturno che annullava le barriere sociali e sovvertiva le gerarchie.
Proprio durante i festeggiamenti dei Saturnali, giravano per la città carri colorati ed addobbati a festa, trainati da animali agghindati in maniera bizzarra.
Tutto il popolo poi si riuniva attorno a grandi tavolate, non importava di quale classe sociale o età:
in quei giorni si poteva mangiare tutti insieme, senza barriere, tra vino e danze.
Nel Medioevo invece il Carnevale era caratterizzato da ribellione e sovversione:
era infatti l’unico periodo dell’anno in cui il popolo era libero da leggi e gerarchie sociali.
Follia e sfrenatezza erano all’ordine del giorno:
i ruoli sociali potevano essere invertiti, era d’uso comune persino prendersi gioco dei nobili e del clero.
Ogni giullare e buffone poteva essere vescovo e re.
La figura del re dei Saturnali ha poi continuato a vivere in quella del re del Carnevale:
il suo compito era quello di garantire la sospensione delle leggi e di vegliare sui giorni di festa.
Inizialmente era impersonato da un uomo che veniva sacrificato per il bene della collettività:
fu poi sostituito con un fantoccio di paglia che veniva bruciato la sera del martedì grasso.
“Morendo” infatti, avrebbe purificato l’intera comunità.
Ma dobbiamo cercare le vere origini del Carnevale ancor prima.
I primi a rendere ufficiale la tradizione carnevalesca furono gli Egizi:
attraverso feste, rituali e manifestazioni pubbliche in onore di Iside, dea della fertilità.
E prima di loro, ancora, 10.000 anni a.C.:
durante rituali legati alla terra, ci si dipingeva corpo e viso e ci si abbandonava a musica e danze.
Questo “abbandonarsi” a danze ed unioni sessuali così libere, riporterebbe ad alcuni rituali propiziatori celtici:
quando uomo e donna si univano infatti sulla terra nuda, come omaggio alla Madre Terra.
Utilizzavano le maschere, invece, perché allontanassero gli spiriti maligni.
Oppure perché incarnassero le energie collegate alla natura e alle divinità.
L’uomo, celato dalla maschera, poteva dar sfogo a desideri e comportamenti che in altre situazioni non sarebbero stati tollerati.
Ancora oggi l’uso del travestimento ha una forte valenza psicologica:
ci concede una “pausa” da ciò che il mondo si aspetta che siamo, dal volto che mostriamo in pubblico.
Di riferimenti al Carnevale precedenti al Cristianesimo ce ne sono davvero tantissimi.
Nelle tante varianti ci sono però alcune cose in comune:
l’idea di rinnovamento, la fecondità della terra, l’esorcismo della morte.
Il Carnevale rappresenta quindi ciò che resta di riti antichissimi, riti che celebrano l’allegria, l’addio alle inibizioni, le danze, la musica.
E ancora: l’idea di sovversione, di ribellione, l’uso di maschere che in realtà servono a svelarsi più che celarsi.
Riti che celebrano la libertà.