Violenza sulle donne: la ricerca di una giustificazione biologica
Sebbene sia assurdo, nel 2019, parlare ancora di violenza sulle donne, di misoginia e di femminicidio, si tratta purtroppo di realtà presenti, che sembrano peraltro incrementare di giorno in giorno.
Nonostante gli scandali, nonostante campagne virali come #METOO e #quellavoltache, nonostante le iniziative, le testimonianze e le denunce, rese pubbliche persino da personaggi famosi, la violenza sulle donne è all’ordine del giorno.
Ma quel che è peggio, è che ancora si è alla ricerca di una giustificazione “biologica” alla violenza sulle donne.
Secondo alcune teorie, infatti, non tutto sarebbe riconducibile soltanto al “semplice” odio verso le donne.
Ma procediamo per ordine.
I sondaggi
Nel 2017, viene pubblicato sulla rivista Psychology of violence uno studio condotto sulle giustificazioni dei sex offenders.
Su una community, che garantiva anonimato, si chiedeva ad uomini autori di violenza sessuale di spiegare il motivo delle loro azioni .
Le risposte sono state più di 12.000.
Una delle più prevedibili era appunto l’odio verso il genere femminile: uomini trattati male dalle donne, rabbia repressa, conseguente accanimento sulla vittima.
E ovviamente, difficoltà a percepire tutto ciò come reato.
Accanto a questi individui, c’erano i sociosessuali: uomini che cercano sesso da più partner in contesti di abuso e violenza come mezzo per ottenere l’eccitazione.
Sembrano motivazioni quasi “scontate” queste: la violenza sulle donne proviene o da un’esplicita ostilità dei confronti del genere, o dalla necessità di soddisfacimento sessuale tramite abuso fisico.
Ma, sebbene sembri già abbastanza, non ci si ferma qui.
Ci sono altre categorie di motivazioni, o per meglio dire “giustificazioni biologiche” alla violenza sulle donne, che è bene sottolineare, perché hanno dell’incredibile.
“Le donne sono fatte così”.
Potremmo racchiudere alcune delle ulteriori giustificazioni a quest’unica frase, ma spieghiamoci meglio.
Secondo questi “luminari”, le donne sarebbero culturalmente inibite dal manifestare la propria sessualità.
Che tradotto sarebbe: un “no” vorrebbe dire “sì”, quindi l’uomo non sarebbe in grado di capire se il rapporto sessuale sia forzato o meno.
Si sentirebbe dunque in diritto di insistere, soprattutto se ha già avuto rapporti consenzienti con la suddetta partner sessuale.
Ulteriore motivazioni agli abusi, sarebbe la “pulsione sessuale biologica” dell’uomo:
in sostanza, la colpa è degli ormoni. E l’uomo, non può far altro che cedere, sopraffatto da essa.
In questo caso, “gli uomini sono fatti così”.
Comodo, no?
Ma alla via di deresponsabilizzazione più assurda, ancora non ci siamo arrivati:
la colpevolizzazione della vittima.
Parliamo della donna provocatrice, colpevole per il suo atteggiamento, o abbigliamento, sbagliato, colpevole perché ubriaca o non in grado di respingere esplicitamente l’aggressore.
Insomma, “se l’è cercata”.
Quante volte avete sentito questa frase?
Infine, sembra essere dilagante in certi individui un meccanismo psicologico noto come oggettivazione sessuale:
la donna non viene percepita come “persona” ma soltanto come “oggetto” finalizzato al soddisfacimento sessuale. Da qui la giustificazione alla violenza.
Non si è capaci di provare empatia, quindi la vittima non è riconosciuta come tale.
Lo stesso meccanismo è alla base delle violenze di gruppo, del bullismo … e delle pubblicità sessiste.
Si, perché ancora oggi, in contesti mediatici, il corpo della donna viene strumentalizzato per vendere ed aumentare visualizzazioni.
Che la cultura maschilista sia ampiamente diffusa è un dato di fatto, ma spesso non ce ne rendiamo conto.
Ci riteniamo aperti, tolleranti, all’avanguardia, crediamo di aver ottenuto la parità dei sessi, ma è davvero così?
Il fatto più allarmante è che il “se l’è cercata”, lo pensano anche le donne, parlando del loro stesso sesso.
Queste rappresentazioni stereotipate dei generi che ci vengono inculcate dai media, dalle pubblicità, dal contesto familiare, anche, sono nocive e rafforzano l’idea che la donna debba avere un ruolo marginale nella sfera pubblica, ma centrale in quella privata.
Chi non ha mai pensato che sia l’uomo a dover lavorare, a “portare i soldi a casa”, e che la donna invece debba dedicarsi alla casa ed ai figli?
O che sia normale che entrambi lavorino, ma non che sia unicamente la donna il sostentamento della famiglia?
Chi non ha mai detto, pensato, o sentito dire una di queste frasi:
“E’ l’uomo che deve pagare al ristorante!”
“Guarda quella, ha un figlio e lavora: madre snaturata! E le pulizie in casa chi le fa?!”
“Le macchinine sono per maschi, le bambole per le femmine!”
“Stai attenta per strada, non tornare da sola”
“Se ti vesti così, poi non lamentarti se fanno i cretini!”
“Vestita così sembri una suora/puttana/maschiaccio!”
“Ti trucchi troppo, sembri una puttana.”
“Ma perché non ti trucchi mai? Saresti più carina.”
“Ma che c’hai le tue cose oggi?!”
E ancora, e ancora, e ancora.
Viviamo in un paese in cui si cercano ancora giustificazioni alle violenze, un paese in cui dilagano il maschilismo e le differenze di genere.
Un paese in cui non siamo libere di far del nostro corpo ciò che vogliamo.
La soluzione?
Prevenzione, come con le malattie.
Bisognerebbe educare i bambini alla parità dei sessi fin dalla nascita, cooperare tra scuola e famiglia, eliminare le distinzioni discriminatorie tra maschio e femmina sin da piccoli.
Ed educazione. E coscienza. Soprattutto tra le alte sfere.
Ma ahimè, la strada è ancora lunga.