A volte il confine tra realtà e credenza è davvero sottile soprattutto quando ci si muove in un campo così vasto e ancora largamente sconosciuto come la sessualità. E tra le varie domande che ormai da quasi un secolo ci fanno arrovellare il cervello, quella sul famigerato punto G, un’area nei pressi della vagina che attraverso la giusta stimolazione dovrebbe regalare orgasmi intensi e duraturi, è sicuramente una delle più gettonate.
Se questo “magic button” esista o meno è, infatti, ancora un interrogativo che si fanno in molti ma che ancora oggi, dopo più di 60 anni di studi dedicati, non ha trovato una risposta univoca.
La prima volta che si è sentito parlare del punto G è stata nel XVII secolo. A scriverne in un’opera, ad oggi perduta, è stato l’anatomista olandese Regnier de Graaf, più noto per gli studi sul follicolo ovarico che porta il suo nome. Solo nel 1950 il sessuologo tedesco Gräfenberg riapre la questione riportando in un articolo l’esistenza di una zona vaginale particolarmente erogena interpretata una trentina di anni dopo dalle dottoresse Alice Lada e Beverly Whipple come la prova scientifica dell’esistenza del punto G (che prende il nome dal suo presunto e ignaro scopritore).
Ad oggi la scienza ha rivelato che le parole riportate dalle due sessuologhe in riferimento al testo di Gräfenberg non sono che una parte travisata dell’articolo intero e per questo scientificamente inaccettabili. Nonostante ciò la questione rimane aperta e continua a dividere le opinioni dei ricercatori in due.
Da una parte c’è chi sostiene che effettivamente esista una zona erogena per eccellenza ma che la cui posizione vari di donna in donna o che sia presente solo in una percentuale e che dipenda dalla sensibilità di ciascuna. (Un caso recente è lo studio del Dr. Ostrzenski che individua il punto G tra apparato genitale e urinario per una lunghezza complessiva di 8 millimetri.).
Mentre dall’altra parte c’è chi sostiene che il mito del punto G non sia altro che una bufala. Tra i promotori di questa tesi troviamo il dottor Vincenzo Puppo, sessuologo italiano, che tra le varie ha anche sottolineato l’inesistenza di immagini ecografiche della fantomatica zona e a pubblicato un ebook scaricabile gratuitamente in cui tratta proprio questo tema.
E se la leggenda del punto G è ad un passo dall’essere sfatata, così lo è quella sull’esistenza dell’orgasmo vaginale.
Molti di noi avranno, infatti, letto che la donna può provare due tipi di orgasmi differenti: quello clitorideo, raggiungibile con la stimolazione del clitoride, e quello per l’appunto vaginale, raggiungibile solo con la stimolazione all’interno della vagina durante un rapporto penetrativo. Mentre il primo è alla portata di tutte, il secondo sarebbe un premio per poche elette. Questa teoria nasce dagli studi di Freud nel 1905 ma anche in questo caso sembra non avere alcun riscontro a livello scientifico. Sono diversi gli studi, infatti, che individuano nella sollecitazione del clitoride il solo modo con cui le donne possano raggiungere l’orgasmo. Ciò può avvenire con un contatto diretto o indiretto con lo sfregare del pube sulla zona interessata durante il rapporto (quest´ultimo verrebbe scambiato per un orgasmo vaginale). Secondo quanto detto sarebbe, dunque, piú esatto parlare di solo orgasmo femminile, come d’altronde si fa parlando al maschile, é definire il clitoride il vero protagonista del piacere, un ruolo già sottolineato nel 1966 dai sessuologi William Masters e Virginia Johnson.
Particolarmente interessante e, a mio parere, condivisibile è la spiegazione del dottor Puppo riguardo al motivo della creazione di tutte queste chimere. Affermare, infatti, l’esistenza di un punto raggiungibile solo da un partner maschile mette ancora una volta al centro della sessualità il fallo come strumento univoco alla scoperta del piacere. Dichiarare, dunque, che l’orgasmo dipenda unicamente da un elemento esterno e alla letterale portata di mano metterebbe in secondo piano l´utilità del pene abbattendo un altro dei capisaldi su cui si costruisce la nostra società fallocentrica.
Che siano credenze o meno, in ogni caso, tutte queste teorie restituiscono un’immagine della sessualità femminile esageratamente complicata che non di rado è sotto le coperte la migliore giustificazione per tralasciare i bisogni della partner.
La questione, inoltre, ha un impatto non indifferente sulla società che fa sentire una donna che non prova una determinata sensazione tanto decantata ed “esclusiva” (come può essere in questo caso un orgasmo vaginale) frustrata, incompleta e insoddisfatta. Ad oggi esistono persino operazioni chirurgiche che promettono aumenti di sensibilità attraverso iniezioni di collagene o acido ialuronico nella mucosa della parte anteriore della vagina. Una pratica a dir poco assurda e pensata come al solito in termini di business.
Qualsiasi sia, dunque, la risposta al quesito sull’esistenza o meno del punto G, di certo il modo migliore per scoprirlo è dedicarsi alla conoscenza del proprio corpo e di quello di chi condivide il letto con noi, anche solo occasionalmente. E se mai non dovessimo scovare nulla, alla peggio possiamo dire di aver passato una piacevole serata.
Autore: Morgana Meli