Come abbiamo già visto nell’articolo dedicato al transgenderismo, la questione riguardante l’identità di genere è molto più complessa di quanto si possa pensare o di quanto la visione più tradizionalista ci abbia messo al corrente.
Se fino a pochi anni fa le uniche identità riconosciute erano quella maschile e femminile, oggi non possiamo non prendere atto dell’esistenza di molteplici altre situazioni. L’intersessualità rientra proprio tra queste e riguarda più dello 0,5% della popolazione europea.
Per capirci meglio, si tratta di un termine ombrello che al suo interno racchiude diverse condizioni molto differenti l’una dall’altra. Sebbene la questione sia molto più complicata, possiamo riassumere a grandi linee dicendo che rientrano nella definizione di intersex tutti coloro che possiedono cromosomi diversi da XX e XY (quindi altre combinazioni come XXX o XXY ecc.), oppure i cui organi sessuali non hanno corrispondenza con il corredo genetico o ancora che presentano entrambi i genitali o una forma ambigua degli stessi.
Le persone intersessuali presentano così dal punto di vista biologico caratteristiche peculiari sia del genere XX che del genere XY. Come queste coincidano con l’aspetto fisico varia da individuo ad individuo: ci sono persone con una fisionomia più tendente al canone femminile, altre a quella maschile e poi c’è chi viene designato con il termine di androgino e che presenta caratteristiche fisiche di entrambi i generi.
Proprio in riferimento al termine androgino ci sarebbe da precisare che non si tratta affatto di un sinonimo di intersessuale come spesso di pensa, poiché mentre il secondo è un concetto biologico, il primo fa riferimento alle caratteristiche strettamente fisiche dell’individuo. Dunque una persona androgina non deve essere necessariamente intersessuale e lo stesso viceversa.
Tornando invece all’intersessualità possiamo dire che, oltre ad essere spesso ignorata e non tutelata, viene considerata alla stregua di una malattia e per questo trattata come tale. Non di rado, infatti, un neonato i cui caratteri intersessuali traspaiono fin dalla nascita viene sottoposti a cure ormonali e operazioni chirurgiche invasive e pericolose al fine di essere inserito in una delle due identità di genere culturalmente riconosciute. Abituati a convivere in una cultura che descrive la sua natura in opposizione a ciò che percepisce come altro da sè, il desiderio da parte dei genitori di categorizzare un nascituro è sicuramente un pensiero in buona fede, soprattutto considerando l`appartenenza degli stessi ad una generazione che non ha avuto le chance per avvicinarsi ad alcune tematiche con la scioltezza della contemporaneità, ma che, in questo caso più che mai, preclude e priva il nuovo individuo di una parte fondamentale del proprio essere.
Altre volte l’intersessualità non è latente e viene scoperta durante la crescita. Non è inusuale, infatti, che bambini intersessuali definiti da terzi al maschile o al femminile, crescendo non si ritrovino nel sesso assegnatogli. Proprio nel processo di passaggio dall’identità fittizia a quella vera (in questi casi però non si può parlare di transizione) può capitare di scoprire la propria intersessualità.
E poi ci sono anche persone che non sentono affatto la necessità di darsi una definizione secondo gli schemi classici e che decidono di mantenere tutte le caratteristiche sia fisiche che biologiche aventi fin dalla nascita.
Oggi il termine intersessuale per appropriazione culturale viene, spesso, “erroneamente” (“erroneamente” stando alle definizioni del linguaggio della sessualità ma che non dubita della veridicità di questa ennesima identità di genere) utilizzato anche da chi non presenta le peculiarità sopracitate, (quindi un corredo genetico con le caratteristiche di entrambi i sessi, ma che non si riconosce in nessuno dei generi socialmente costruiti.
Ovviamente è una questione molto più ampia ma che ci fa riflettere sulla necessità di definire noi stessi e di quanto le etichette dicano effettivamente della nostra identità. (nel caso l’argomento ti interessasse puoi anche dare un’occhiata all’articolo dedicato alla comunicazione inclusiva).
Per fortuna oggi le occasioni per parlare di noi ci vengono date. I social infatti con il loro aspetto autocelebrativo se da una parte promuovono modelli utopici inesistenti, dall’altra hanno il pregio di aprire un dialogo più o meno libero ma molto più coraggioso circa la nostra personalità, stimolando anche discussioni riguardanti tutte le identità di genere che non rientrano nei canoni tradizionali. Una forma di esaltazione di sé stessi che, personalmente, considero in questo senso un fenomeno piuttosto positivo e un ottimo presupposto per valorizzare la propria persona al di là degli schemi tradizionali imposti.
E se poi un domani dovessimo arrivare al punto di non definirci nemmeno maschi o femmine questo non è prevedibile, sarebbe però sicuramente bello non sentire più il bisogno di farlo.
Fonte: Morgana Meli