Barbie sì, ma senza un genere.
Quello delle bambole no gender è l’ultima novità della Mattel che ha suscitato plausi ma anche tante critiche. Non è la prima volta che il colosso fabbrica giocattoli si avvicina a temi caldi come questi.
Da anni ormai porta avanti la campagna pubblicitaria “You Can Be Anything”, dimostrando attraverso 51 categorie, che le bambine non devono avere limiti: possono essere, infatti, ciò che vogliono. Se non fosse però che le 51 categorie non sono altro che (l’astronauta, la dentista, l’apicultrice e un altro paio giù di lì) professioni assegnate alle donne dai soliti stereotipi di 60 anni fa.
Ma comunque, la Mattel, ha voluto fare un passo avanti. Non vuole più dimostrare soltanto che le bimbe possono essere ciò che vogliono ma anche chi vogliono, strizzando l’occhio anche ai bimbi. In questo modo possono giocarci tutti, senza etichette né per la persona né per la bambola. Più facile a dirsi che a farsi.
“Creatable world” è il claim dello spot, e dunque l’insight vira sulla creatività – le bambole offrono fino a cento combinazioni diverse di abiti, accessori, parrucche, colore della pelle. Il discorso però è ben più serio: si tratta della costruzione dell’identità del bambino e del futuro adulto.
“Non sono superficiale, è che mi vendono così”
Tutti la conosciamo, tutti (tutte di sicuro) ci abbiamo giocato almeno una volta, pettinandola, facendola sposare con Ken e Big Jim, facendola vivere in case spaziose, super accessoriate, andando a spasso nell’auto di lusso o il camper, e facendole fare meravigliose vacanze al mare o sulle montagne.
Ma i tempi sono cambiati, la generazione attuale si sta discostando sempre di più dal modello-Barbie tanto che, molto prima che la Mattel proponesse le bambole no gender, ci hanno pensato i prosumer* a cambiare le sorti – e i connotati – della bambola più famosa del mondo.
È il caso delle “Barbie alterate” o weird, deviate, prodotte secondo il principio Ooak, one of a kind, e dei modi non ordinari di giocare con la bambola. È il caso del Ken in versione drag queen o diverse varianti di Barbie mutanti o cyborg.
Non solo: bambole a cui gli utenti preparano un crudele destino, messe in pentola o nel frullatore o legate ai binari del treno, in continuità, tra l’altro con la pratica diffusa tra le stesse bambine di decapitare, mutilare, trasfigurare le proprie Barbie, pratica ovviamente ludica e racchiusa tra le mura domestiche.
“Oggi la giovanissima aspirante adulta si veste da uomo, ha un linguaggio triviale, insomma è in piena contestazione con la madre-Barbie così come un tempo lo era con la madre tutta fornelli.” Giovanna Breccia, psicologa
Bambole no gender: innovazione o trovata pubblicitaria?
Barbie e polemica sono diventati dei sinonimi poiché la casa produttrice di giocattoli più famosa al mondo sembra non essere più anticipatrice dei tempi, limitandosi a cavalcare l’onda e faticando a stare dietro le nuove generazioni che sono molto più avanti, crescendo – intellettualmente – alla velocità della luce.
Le critiche maggiori sono venute da chi giustamente afferma che bambole senza genere, senza capelli e senza vestiti sono vecchie come il mondo e che il genere lo attribuiamo noi, vestendole. Secondo la pedagogia non sono innovative ma nemmeno dannose.
La vera innovazione sarebbe quella di abbattere la divisione di giochi per maschi e per femmine, nei negozi ma anche negli e-commerce dove il genere è la prima categoria discriminante e che di fronte all’indecisione degli acquirenti la prima domanda che pongono è: è per un maschietto o per una femminuccia?
Siamo curiosi di sapere quanti regaleranno questi kit di bambole no gender ai propri figli, nipoti e amichetti maschi, il che sarebbe decisamente più interessante delle bambole in sé.
*sincrasi delle parole producer e consumer: consumatori e produttori di contenuti al tempo stesso