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La regina Elisabetta II è davvero “l’ultima delle femministe”?

Elisabetta II, l’ultima delle femministe: è Olivia Colman, attrice che interpreta la sovrana del Regno Unito nella terza stagione della serie “The Crown” su Netflix (disponibile dal 17 novembre), a lanciare la provocazione.

Intervistata dal magazine Radio Times, la star premio Oscar che sostituisce Claire Foy nel ruolo di Elisabetta II, sostiene di «essersi innamorata» della monarca durante le riprese dello show.

La regina Elisabetta? Una «donna straordinaria» e una «femminista definitiva»“, afferma infatti. 

E aggiunge: “E’ l’ultima delle femministe. E’ lei che porta la pagnotta a casa, è lei quella sulle nostre monete e banconote. Il principe Filippo deve stare un passo indietro rispetto a lei“.

Una chiara dichiarazione di stima da parte della Colman, questo è certo.

Ma possiamo davvero definire Elisabetta II femminista? A quanto pare sì. E vi spieghiamo il perché.

Il Women’s Institute

Il primo chiaro segnale del femminismo della regina, è la sua adesione (nel 1943) al Women’s Institute, fondato nel 1915 “per rivitalizzare le comunità rurali britanniche, incoraggiando le donne a partecipare maggiormente alla produzione alimentare durante la Prima guerra mondiale.”

L’istituzione ha poi ovviamente cambiato la propria natura nel corso dei decenni, ma continua a lottare per l’emancipazione delle donne.

L’arruolamento durante la Seconda guerra mondiale

Durante l’ intervista, Olivia Colman ha ricordato come Elisabetta II abbia riparato auto durante la Seconda guerra mondiale. Detta così sembra roba di poco conto, no?

Ma nella realtà la storia è un’altra. Al compimento dei diciotto anni, e nonostante il fatto che il padre Giorgio IV fosse contrario, Elisabetta si arruola nell’Auxiliary Territorial Service, ramo femminile della British Army.

Qui, conosciuta con l’identificativo n. 230873, viene addestrata come autista e meccanico: ad oggi è l’unica donna della Royal Family ad aver servito nell’esercito.

ph. time.com

Il passaggio al re saudita Abdullah

La passione di Elisabetta II per le auto, è cosa nota. A tal proposito non possiamo non citare un aneddoto (che chiarisce in maniera esemplare il carattere della regina) riportato dall’ex ambasciatore del Regno Unito in Arabia Saudita, Cowper-Coles, riguardante la visita del re Abdullah a Balmoral nel 1998.

Elisabetta, dopo pranzo, propone al sovrano saudita una visita della tenuta. Al suo consenso, entrambi procedono verso le due auto messe a disposizione: il re ed il suo interprete salgono sulla prima jeep, mentre alla regina sarebbe stato riservato ovviamente l’altro fuoristrada.

Ma lei, a sorpresa, sale sulla stessa jeep di Abdullah, e per giunta al posto di guida. Ed inizia a guidare come fosse la cosa più normale del mondo. E in effetti, lo è: se non fosse che per il sovrano saudita, questo comportamento è come minimo inaccettabile.

Nel suo Paese, infatti, le donne non possono mettersi al volante da sole.

Ma Elisabetta sembra incurante di questo piccolo dettaglio, ed anzi guida sempre più velocemente continuando nel frattempo ad interagire con il re, il quale, visibilmente preoccupato, ad un certo punto le intima di rallentare e di concentrarsi piuttosto sulla strada.

La stessa Colman cita l’avvenimento durante l’intervista: “Ha insistito per mettersi al volante col re dell’Arabia saudita, un Paese dove le donne non sono autorizzate a guidare. Non è certo una mammoletta».

Il tributo ad Ada Lovelace su Instagram

A marzo del 2019, un post sull’account Instagram ufficiale della Royal Family, il primo che porta la “firma” ufficiale della regina, è un altro segnale chiarissimo del suo essere femminista:

«Oggi, durante una visita allo Science Museum, è stato interessante scoprire una lettera proveniente dall’Archivio Reale, scritta nel 1843 al mio trisnonno il principe Albert. Charles Babbage, uno dei primi pionieri dei computer al mondo, aveva progettato la Macchina differenziale […] Nella lettera alla regina Vittoria e al principe Alberto parla della sua invenzione, la Macchina analitica, sulla cui base vennero poi creati i primi programmi per computer da Ada Lovelace, una figlia di Lord Byron», si legge nel post.

La regina Elisabetta ha praticamente escogitato un modo per citare la cosiddetta “madre dei computer“, la matematica inglese nota soprattutto per il suo lavoro alla macchina analitica ideata dallo stesso Babbage. (Tra i suoi appunti sulla macchina di Babbage si rintraccia anche un algoritmo per generare i numeri di Bernoulli, considerato come il primo algoritmo espressamente inteso per essere elaborato da una macchina, tanto che Ada Lovelace è spesso ricordata come la prima programmatrice di computer al mondo. – Wikipedia)

Ma in fondo, la prova finale del femminismo di Elisabetta II sta proprio in ciò che ella è: una Regina.

E’ fatto appurato che la sovrana più longeva del regno Britannico ricopre il suo ruolo alla perfezione, e non fa sicuramente sentir al suo popolo la mancanza di un governante dell’altro sesso. Anzi.

Ed è quello che afferma anche la giornalista Emma Barnett su The Telegraph: la regina ha il merito di aver reso ininfluente il genere, “ricoprendo il suo incarico stoicamente e con la massima dedizione, ha inavvertitamente fatto molto per normalizzare l’idea di avere una donna al comando“.

Che aggiungere, long may she reign!

Fonti: letteradonna.it, corriere.it, wikipedia.org

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