“We don’t need no education
We don’t need no thought control
No dark sarcasm in the classroom
Teachers leave them kids alone,
Hey, teacher, leave the kids alone!
All in all it’s just another brick in the wall
All in all you’re just another brick in the wall”
Chi è nato e cresciuto alla fine degli anni ’70 e inizio degli anni ’80 conosce a memoria queste parole, l’inizio di “Another Brick in the Wall“, uno dei brani più celebri e rappresentativi di uno degli album che ha fatto la storia della musica di quegli anni : stiamo parlando di “The Wall” dei Pink Floyd.
Un album, ricco di significati, che ha rappresentato una svolta nella storia della band, in tutti i sensi, un album le cui tracce raccontano una storia fatta di disagi: quella di Pink, personaggio fittizio basato su Roger Waters, cofondatore della band (e in parte anche a Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd, dai quali si separa a causa delle sue problematiche mentali, e che morirà nel 2006 a causa di un tumore al pancreas).
La nascita
Luglio 1977, Stadio di Montreal.
La metà degli anni ’70 sono per i Pink Floyd il periodo “classico”, coronato nel 1973 dall’uscita di The Dark Side of the Moon che con 45 milioni di copie in tutto il mondo, diventa uno degli album di maggior successo e tra i più venduti di tutti i tempi della band inglese.
Nell’estate 1977 i Pink Floyd si apprestano ad ultimare il loro tour In the Flesh, dove presentano il loro decimo album, Animals ; durante il concerto nella cittadina canadese, l’afflusso di fan accorsi a sentirli è impressionante.
La band non è preparata psicologicamente a tale clamore, specialmente Roger Waters, il quale, irritato profondamente dall’esultanza eccessiva dei fan in prima fila, sputa ad uno di loro.
Un episodio che segna profondamente la vita di Waters, che si rivolge ad uno psichiatra per risolvere le sue problematiche profonde legate all’ odio verso i concerti negli stadi, ma soprattutto al “muro” che si creava tra la band e i fan a detta della band troppo entusiasti, durante le loro esibizioni. Un muro, The Wall, che inconsapevolmente pone le basi per del nuovo materiale, al quale lo stesso Water iniziò a lavorare immediatamente.
Una demo di un’ora e mezza, denominata Bricks in the Wall,alla quale lavorarono anche gli altri membri della band, con la collaborazione del co-produttore Bob Ezrin: un lavoro autobiografico, che alla fine racconta in quei brani la storia di un personaggio immaginario, ma non così tanto: Pink.
The Wall: la storia di Pink
Spesso capita di trovarsi ad un punto della nostra vita, in cui sentiamo la necessità di isolarci dal resto del mondo perchè non ci sentiamo abbastanza capiti, compresi per le nostre idee, le nostre opinioni, e quindi mettiamo un “muro” tra noi e gli altri.
E un muro lo mette anche Pink, protagonista della storia raccontata dalle tracce di “The Wall”; Pink è un giovane amante della musica, che nella vita riesce ad avere successo come musicista.
Una vita caratterizzata tuttavia, anche da diversi traumi (dalla morte del padre durante la seconda guerra mondiale all’atteggiamento iperprotettivo della madre, fino alle problematiche) che lo portano a costruire un vero e proprio “muro” psicologico tra lui e le persone che gli stanno attorno.Un muro che si alza e diventa sempre più inglobante, fino al punto di circondarlo e rinchiuderlo.
Un muro che in quegli anni, c’è per davvero in Europa: quello costruito nel 1961 e che divide la Germania in Ovest ed Est, che divide l’Europa.
Ma torniamo alla storia di Pink, il cui isolamento lo porta ad essere “vittima”, marionetta di produttori che lo portano ad esibirsi per gente che a sua detta non ha una personalità, ma segue semplicemente la massa.
Un episodio che porta Pink ad analizzare se stesso, e alla fine ad abbattere quel ” Muro” che lo divide da quelli che fondamentalmente sono simili, esseri umani come lui.
Una storia, della quale ogni traccia dell’album racconta una parte, ciascuna “raccontata” in musica con toni e sonorità diverse.
Una storia che racchiude un pò, non solo quella di Roger Waters o di “Syd” Barrett, ma quella di ognuno di noi.
The Wall: la copertina
Si racconta che Roger Waters nel suo periodo di “isolamento dal mondo” dal quale sarebbe nata la demo, per descrivere come si sentisse abbia cominciato a disegnare dei mattoni bianchi.
Uno sopra l’altro, fino a creare un muro: The Wall,appunto, che divenne la copertina dell’album, alla quale solo in seguito venne aggiunta la scritta Pink Floyd.
Cosa ci ha lasciato e ci lascia l’album “The Wall”?
Novembre 1989: il giorno 22, una folla di persone esulta e grida davanti ad un Muro che cade, quello di Berlino. Un muro materiale, ma anche mentale e psicologico.
Una vergogna che si tramuta in gioia, celebrata l’anno dopo, nel 1990, dai Pink Floyd con un concerto in quella piazza della capitale tedesca “terra di nessuno” per 28 lunghi anni.
Ma , per un muro caduto, purtroppo ancora ci sono tanti “muri” ancora in piedi, fisici (ne sono un esempio quello sorto in Ungheria o come quello che vuole creare Trump tra gli Stati Uniti e il Messico) ma anche psicologici, eretti contro diverse “paure” : dello straniero, ma in generale di quello di diverso da noi, o che i social, la tecnologia, i mass media ci descrivono come tale.
Un qualcosa che il più delle volte è più uguale a noi di quanto crediamo.
Sitografia:
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Pink Floyd The Wall