In un epoca di TripAdvisor, piena di programmi di cucina che conferiscono a chiunque la possibilità di giudicare o di ergersi a gran chef anche senza aver mai messo piede in una cucina, Parma rappresenta un eccellente differenza.
Tra i luoghi richiesti dai tour operators e dai visitatori vi sono i musei del cibo.
Tra questi, Soragna con il museo del Parmigiano Reggiano frutto del talento secolare dei casari della bassa, osannato fin dai tempi antichi persino dalla letteratura, come ci dimostrano le parole del Decamerone:
"Et eravi una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa fecevan, che fare maccheroni, e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva…"
La Corte di Giarola di Collecchio è sede del museo del pomodoro e della pasta che, grazie a Barilla, è divenuta uno dei simboli di Parma.
Poi ci sono Sala Baganza, dove il vino dei colli parmensi trova il suo museo nella Rocca, e Felino il castello è divenuto il museo del salame.
Per non parlare di Langhirano, il cui Foro Boario mostra come nascono i salumi ed il prosciutto dolce di Parma. A Zibello quello del culatello e Borgotaro quello del fungo porcino.
Eccellenze, questi “musei del cibo” che non s’imparano da Barbieri o Cracco, ne Cannavacciuolo o Borghese ma solo attraverso le cucine fumanti o le stagionature della tradizione contadina.
Così come il Tortél Dóls di Colorno: un piatto la cui tradizione che unisce storia e cucina sorprendentemente.
Fu infatti Maria Luigia a creare questa leccornia per i barcaioli di Sacca che, per via del ripieno, chiamarono appunto Tortello Dolce.
Un piatto tipico delle grandi occasioni di festa, che forse non ha un museo come le altre glorie parmensi ma è custodito dalle famiglie colornesi e delle frazioni.
Tutto questo in memoria non solo dell’Amata Duchessa ma di questa tradizione particolarmente sentita dalla popolazione.
Un piatto che viene celebrato ogni anno, dal 2008, da un Gran Galà che raduna a Colorno grandi estimatori di questo primo piatto.
Un piatto che dovrebbe il suo successo alla mostarda utilizzata nel ripieno, conservante per i frutti durante i mesi invernali, da unire al mosto, residuo della produzione vinicola così come la pera nobile e la mela cotogna, antichi frutti parmensi che testimoniano il legame tra la ricetta trasmessa di generazione in generazione e la terra della Bassa Parmense.
Proprio a Colorno nacque una delle scuole d’eccellenza in alta cucina ad opera di Gualtiero Marchesi nel 2001, proprio dove nacque questa prelibatezza, insieme agli anolini in brodo. Anima della cucina parmense.