Se dovessi prendere un caffè con Massimo Bonelli, probabilmente sarebbe in occasione di un qualche evento mondano da lui organizzato, come una delle sue mostre d’arte.
La sua è una personalità decisamente al passo con i tempi della musica, dato che dalla sua scrivania sono passati tutti i grandi nomi del panorama internazionale anni ’80. Dai Queen ai Deep Purple, dai Pink Floyd a Michael Jackson. Ha influenzato i gusti dei nostri genitori, selezionando i prodotti che sarebbero approdati sul mercato italiano, e se alcune leggende continuano a vivere anche nella memoria di noi millennials, in larga parte è merito suo.
Chi è dunque “il discografico per antonomasia”?
Nonostante non faccia più parte del gruppo Sony, l’ex direttore generale continua a vivere per quella stessa musica che lo ha accompagnato nel corso della sua incommensurabile carriera. In fondo, la canzone è solo un’espressione del concetto di arte.
Negli ultimi anni, dunque, Massimo Bonelli si è occupato proprio di creare un’alchimia tra le diverse realtà espressive, organizzando mostre dedicate al rock, scrivendo libri commoventi come “La vera favola di Emjay” e ricordando le grandi vette del passato attraverso gallerie d’arte ed cimeli, come la celebre “Una vita tra Pop e Rock” tenutasi sul Lago d’Orta.
Quando una persona dedica la sua intera esistenza ad esprimere un concetto, non si può provare che un profondo rispetto. Nel momento in cui riesce anche ad influenzare due generazioni di appassionati, questo sentimento si tramuta in ammirazione. Per quello che ha fatto, nella vita e nel lavoro, non si può che ammirare Massimo Bonelli.
Una vita passata a selezionare solo il meglio del meglio, a decidere che cosa sarebbe stato adatto per il mercato italiano e chi, invece, si sarebbe rivelato inadatto. Dietro a questo ruolo da sogno vi è anche tutta la responsabilità che un simile compito comporta. Ogni scelta, giusta o sbagliata che fosse, ha decretato il destino artistico di qualcuno. Ogni selezione ha distinto coloro che “ce l’hanno fatta” da coloro che “sono caduti nel dimenticatoio”.
Bisogna avere spalle larghe, un repertorio di conoscenze enorme e, soprattutto, tanto sangue freddo. In trentacinque anni di carriera, Massimo Bonelli ha ampiamente dimostrato di avere queste doti.
Un caffè con Massimo Bonelli
Ci potrebbe raccontare il suo rapporto con Sony Music? Cosa significa lavorare per loro? Cosa ha rappresentato per Lei questa esperienza?
La discografia è come il mercato calcistico, si acquistano giocatori e allenatori, artisti e dirigenti. Io sono stato acquistato dalla CBS (americana) per il mercato italiano. In seguito ho fondato l’etichetta gemella alla Columbia (CBS) dirigendo la EPIC che in Italia non era rappresentata.
Così ho lavorato con Michael Jackson, Cyndi Lauper, Sade, Pearl Jam, Oasis etc. Ovviamente non c’era un catalogo italiano così ho provveduto a riempire questa lacuna con Renato Zero, Ivano Fossati, Fiorella Mannoia. La EPIC arrivò a rappresentare oltre il 50% del mercato.
Così divenni direttore della Sony Music, che nel frattempo aveva acquisito sia la Columbia che la Epic. Questo percorso di attività è durato per oltre 35 anni. Alla fine ero diventato per tutti “Il discografico” per antonomasia.
Massimo Bonelli, “Il discografico per antonomasia”. Penso che questa sia veramente la definizione perfetta per descrivere il suo ruolo, ci vuole certamente un grande orecchio per riconoscere quali possano essere gli autori adatti al mercato: come ha strutturato l’approccio in Italia di alcuni dei musicisti più rivoluzionari del panorama internazionale?
Il ruolo che ho sempre privilegiato nel mio mestiere è quello promozionale. Colpire la fantasia, la curiosità del pubblico. Creare l’attesa nei confronti di un nuovo artista, di un nuovo disco. Non iniziare quando l’album è stato pubblicato, ma lavorarlo già da quando l’artista è in studio, nella sua forma creativa.
Devi produrre aspettativa e poi, non mancarla. Raccogliere gli ingredienti, i sapori più originali e curiosi del musicista e della sua opera e iniziare a diffonderli.
Quando il disco viene pubblicato, il pubblico attento deve averne già desiderio.
Un compito di grande responsabilità, ma certamente dotato di un gran fascino. C’è qualche consiglio che si sentirebbe di dare a chi volesse intraprendere la Sua stessa professione?
Credo di poter sostenere che questo mestiere non esista più. Oggi il mondo musicale è radicalmente cambiato. I sistemi di comunicazione e promozione sono molto diversi. La stessa considerazione di “prodotto” è diversa. Io non sono in grado di dare consigli in questo nuovo mondo. Sono troppo impreparato sulle nuove fonti di diffusione musicale, il digitale e altre novità.
Inoltre, mi sembra di capire che la discografia, o quel che resta, abbia delegato la televisione nella scelta dei nuovi talenti. E’ stato questo il motivo principale per cui ho deciso di abbandonare questo prezioso mestiere.
Cosa spinge, secondo lei, un italiano ad accantonare i classici per appassionarsi agli artisti dei talent? Possono i social aver influenzato i gusti musicali del grande pubblico?
Tutti come stupidi robot seguono solo questo meccanismo. C’è un mondo in movimento lì fuori. C’è buona musica per strada, nelle piazze. Certo costa fatica, devi alzarti dalla tastiera, dal divano.
Le nuove generazioni non conoscono i classici, le radici del rock e credono che attraverso programmi come X Factor o Amici etc hanno la visione di come deve essere la musica e i suoi protagonisti. Non è così. Cercate, c’è buona musica lì fuori.
In che modo la società viene rispecchiata dalla propria musica? Quali analogie vi potrebbero essere tra le nuove realtà musicali e lo stile di vita del nuovo millennio?
La società attuale rispecchia la povertà creativa della televisione. Quindi la povertà creativa della musica che la televisione comunica.
Lo scorso millennio, lo scorso secolo, insomma sino a trent’anni fa, nei momenti peggiori della storia sociale, guerre, conflitti politici, nascevano i migliori musicisti e le migliori opere musicali. Nascevano per protesta, per sfida. Oggi è tutto molto omologato. Nessuno ha una vera e originale personalità, né di stile né di musica.
Restando nel tema società e attualità, a causa dell’emergenza Covid-19, l’Italia è stata costretta ad una quarantena forzata. Molti nostri connazionali si stanno sfogando attraverso la musica, cantando dai balconi o organizzando veri e propri dj set. Quanto è importante, secondo Massimo Bonelli, la musica come componente sociale e consolatoria? Si aspettava una reazione simile?
La musica è sempre stata una fonte di solidarietà, di aggregazione, è uno dei suoi ruoli, forse il più bello e sincero. Che ci sia gente che si sente più vicina e meno sola affacciandosi a cantare o applaudire ad un balcone, è bellissimo, soprattutto se spontaneo. Poi c’è chi strumentalizza tutto ciò per guadagnare in visibilità, in profitto ed è profondamente falso, inadeguato.
Tornando a quella che è stata la sua figura professionale, ci potrebbe svelare qual è il segreto, il criterio di selezione, per cui un giovane è considerato valido per il mercato musicale?
I sistemi di oggi non sono quelli di ieri e quindi non saprei cosa rispondere in riferimento al mercato attuale.
Una volta era tutto affidato al talento e alla personalità, più personalità che doti vocali.
Ad esempio non è importante avere una bella voce se non hai una forte personalità, meglio avere quest’ultima, ti aiuterà ad uscire comunque dall’anonimato. C’è più gente con una discreta voce che con una discreta personalità.
Quanto è importante per un artista di oggi avere già una solida fanbase? Come è stato rivoluzionato il concetto di gavetta grazie ai social network?
In realtà ha cambiato solo il nome. La definizione di “gavetta” esiste ancora. Prima si suonava per strada, quello che io definisco il palco più bello e democratico del mondo, poi nei pub, nei piccoli locali. Se riuscivi a resistere a questa fatica, a questa improvvisazione, crescevi.
E’ una selezione artistica drastica ma importante. Oggi continui a fare le stesse cose, ma queste puoi aggiungere i social network. Avere una fanbase è fondamentale. Gruppi o artisti che la massa ignora, hanno un esercito di fan che li segue ad ogni loro spostamento per i concerti. Questo è il miracolo del talento.
Visto che ha avuto a che fare con un personaggio come Michael Jackson, penso che di talento se ne intenda parecchio. Su questa leggenda del pop, Massimo Bonelli ha scritto anche un libro: “La vera fiaba di Emjay”. Come giudica questa sua esperienza narrativa?
Mi sono divertito a scrivere e promuovere questo libro. La chiave importante è la fantasia. Scrivo cose vere usando la fantasia. Parlo del mondo della musica e della discografia usando la fantasia. Denuncio alcuni fatti reali usando la fantasia. Per cui nessuno mi può attaccare: è solo fantasia.
In merito al periodo in cui ha lavorato con Michael Jackson, c’è un momento o una sua frase che pensa sia utile tramandare a chiunque la sua voglia vivere di musica?
E’ tanto, ma non ciò che si deve desiderare di essere.
Lui comunque è stato l’artefice di tutto ciò che ha fatto. L’uomo più spettacolare e creativo che io abbia mai conosciuto. Ballerino e cantante straordinario, irripetibile.
Esiste un erede spirituale di MJ o la Sua leggenda resterà inarrivabile?
La storia della musica moderna ha avuto dei cambiamenti storici. Personaggi che hanno determinato non solo scelte musicali ma anche sociali. Nell’ordine: Duke Ellington, Elvis Presley, The Beatles, Michael Jackson.
Queste sono le radici, da loro nascono piante, rami e fiori.
C’è qualche momento della sua formidabile carriera che ricorda con particolare ilarità?
Certamente, anzi molti momenti divertenti. Uno che mi piace narrare, riguarda Cyndi Lauper, splendida e bizzarra artista. Eravamo insieme a Bari per una manifestazione musicale.
Alla fine, a tarda notte, ci ritrovammo in un ristorante del porto vecchio a ballare sul tavolo. Lei, io e l’accompagnamento musicale di altri musicisti presenti nel locale. Qualche mese più tardi, rientrata negli States, Cyndi fu ospite di David Letterman, in quello che è stato il più celebre talk show con decine di milioni di telespettatori.
Il conduttore la invita a parlare del recente tour promozionale in tutto il mondo e lei dice: “Sì, sono stata in Australia, in Asia, quindi in Europa a Londra, a Parigi, ma ricordo soprattutto una notte trascorsa con il mio amico Massimo, completamente ubriachi, a ballare un tango appassionato sul tavolo di una trattoria”.
Decisamente memorabile. Un’ultima domanda, prima di concludere: quali sono stati gli idoli dell’adolescenza di Massimo Bonelli in campo musicale? Le è mai capitato di collaborare con loro?
I miei idoli sono stati Elvis Presley, i Beatles, i Rolling Stones e i Pink Floyd. Escluso Elvis Presley, ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare con gli altri.
L’ultima affermazione mi lascia decisamente colpito, in positivo. Non capita quasi mai di avere la possibilità di interfacciarsi direttamente con i personaggi che hanno accompagnato i nostri pomeriggi da adolescenti.
Per raggiungere questo tipo di mete, bisogna avere una passione ed un talento fuori dagli schemi, ma soprattutto bisogna avere fame. Curiosità, orecchio e sangue freddo hanno permesso a Massimo Bonelli di scalare la vetta e i decenni di successi raccolti in giro per il mondo ne sono la più concreta testimonianza.