Accade nel maggio del 2020, George Floyd, un uomo nero disarmato di Minneapolis, in Minnesota, muore ucciso da 4 poliziotti durante l’arresto, sotto gli occhi increduli di alcuni passanti.
Sembra quasi assurdo come, nel 2020, nel XXI secolo, si debba ancora manifestare, lottare, morire per razzismo, per omofobia, per sessismo.
Quando lo si vede nelle serie tv, come in Orange is the new black, dove una delle carcerate muore uccisa da una delle guardie, molti dicono “succede solo nelle serie tv“, “ormai manifestate per niente“.
Eppure, è successo davvero, una persona ha davvero perso la vita: ennesimo caso di uomo di colore ucciso da poliziotti che abusano del loro potere nella “terra della libertà” (se sei bianco, etero, uomo e ricco).
La morte di George Floyd è stata ripresa in un agghiacciante video di 9 minuti, in cui si vede la vittima con la guancia schiacciata contro l’asfalto e il ginocchio del poliziotto sul collo, mentre chiede pietà a chi dovrebbe proteggerlo.
A parlare di questo tragico avvenimento non sono solo i social e le varie associazioni umanitarie, ma anche persone con forte rilievo sulla società come Madonna, Stephen Jackson (amico di infanzia di George Floyd), LeBron James e Bernice King.
George Floyd: cosa è successo lunedì 25 maggio
La vicenda che ha portato alla morte di George Floyd, uomo nero di 46 anni, è iniziata a causa di una chiamata dal proprietario di un negozio che intendeva denunciare un uomo che aveva utilizzato una banconota da venti dollari contraffatta.
A quel punto gli agenti, arrivati sul posto, avrebbero trovato la vittima seduta nella propria auto. Secondo la loro testimonianza era sotto l’effetto di droghe o alcool e si rifiutava di scendere dall’auto.
Gli agenti allora lo avrebbero prima ammanettato e poi immobilizzato a terra, con la guancia sinistra schiacciata contro l’asfalto e il ginocchio di uno dei poliziotti sul proprio collo, rimanendo in quella posizione per interi minuti.
Nonostante Floyd si lamentasse più volte del dolore che stesse provando, come si può sentire nel video, l’assassino non si è mai mosso.
“Non uccidetemi“, dice George Floyd prima di morire. “Non riesco a respirare“, dice ancora, ma i poliziotti non si muovono, decidono di non salvarlo.
Nel video si sentono anche dei passanti che urlano ai poliziotti di liberare il collo dell’uomo, ma solo quando smette di muoversi viene chiamata un’ambulanza, dove sarebbe poi morto.
Its gonna take Black to fight for Black. We need to stop attacking and killing ourselves and focus on our enemies! These apes got no love for Blacks !#JusticeForGeorgeFloyd pic.twitter.com/w5nK53RVA3
— #AnlogaJunction (@BernysYung) May 27, 2020
George Floyd e i casi analoghi
George Floyd non è stato il primo uomo di colore a morire a causa del razzismo delle autorità.
Come lui, un altro caso è stato quello di Philando Castile, uomo nero di 32 anni.
Castile si trovava in macchina con la fidanzata (che ha ripreso tutto) e la figlia. Era stato fermato dai poliziotti poiché aveva una luce posteriore rotta.
Dopo aver avvisato gli agenti di possedere una pistola regolarmente registrata nel cruscotto, si accingeva a prendere la patente. Ed è in quel momento che è partito il colpo che ha causato la morte dell’uomo.
Un altro omicidio è stato quello di Eric Garner, uomo nero di 43 anni, anche lui morto soffocato da un agente durante l’arresto. Come George Floyd, anche lui diceva agli agenti “Non riesco a respirare“, ma non è stato ascoltato.
Insieme a loro, anche il giovanissimo Trayvon Martin, ragazzo nero di 17 anni, la cui morte ha ispirato anche la fondazione di Black Lives Matter, ucciso perché “aveva un atteggiamento sospetto” mentre rientrava in casa.
Tutti questi casi di omicidi hanno in comune due cose: il razzismo e gli assassini scagionati.
Nel caso Garner l’uomo che ha sparato non è stato neanche incriminato, in quello Castile e Martin sono stati assolti.
Nel caso di George Floyd, i poliziotti, quando è scoppiato il caso mediatico, sono stati licenziati e l’FBI sta indagando sulla vicenda. Lo hanno definito “un incidente medico“, sebbene nel video si veda benissimo come sia morto l’uomo.
#JusticeForGeorgeFloyd: la reazione dei social
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Le proteste non sono arrivate solo dagli Stati Uniti, ma da tutto il mondo, e i vip non si sono esentati da questa lotta.
Ma la reazione più straziante è stata quella di Stephen Jackson, ex Golden State NBA, amico di infanzia di George Floyd.
Lo chiama “Twin”, nel suo post su Instagram, e racconta di come Floyd gli avesse detto di essersi trasferito in Minnesota per cambiare vita e guidare camion.
«Stava facendo la cosa giusta. E voi avete ucciso mio fratello. Ora andrò a Minneapolis, farò tutto ciò che mi è possibile per non far passare la vicenda sotto silenzio.»
Jackson su Instagram
Jackson ricorda anche del talento nello sport del suo amico e che “l’unica differenza tra me e mio fratello è stata che io ho avuto più possibilità di lui. Il Gemello viveva davvero attraverso di me“.
Insieme a Jackson, anche LeBron James ha postato nelle sue storie il video della vicenda e poi ha postato la foto dove vediamo a confronto Colin Kaepernick, sportivo che si inginocchia durante l’inno nazionale per protestare contro una nazione che non protegge tutti i suoi abitanti, uccidendo le minoranze, e il poliziotto che inginocchiato sul collo di George Floyd, lo uccide.
Trump aveva definito Kaepernick e tutti i giocatori che lo avevano imitato dei “figli di pu****a”.
“Adesso capite? O siete ancora confusi? #SiateSvegli”, scrive come didascalia il giocatore dell’NBA.
Anche la cantante Madonna ha espresso il suo sconforto e la sua rabbia in un post su Instagram:
«Questo agente sapeva che lo stavano filmando e lo ha ucciso con arroganza e orgoglio. Fuck The Police. L’ho detto. Non mi interessa il politically correct, mi interessa la giustizia».
Madonna su Instagram
La cantante si è sempre opposta alla diffusione di armi negli USA, e in questo caso dice che, finché il razzismo non sarà superato, nessuno dovrebbe essere autorizzato a possedere delle armi, neanche i poliziotti.
“Dio ti benedica George Floyd sono così affranta per te e la tua famiglia. E per tutte le uccisioni senza senso avvenute prima della tua. Finirà mai tutto questo? Prego Dio perché un giorno accada“, scrive ancora.
Infine, anche Bernice King, figlia di Martin Luther King Jr., pubblica lo stesso confronto di LeBron James, scrivendo:
«Se sei infastidito o leggermente infastidito dal 1° ginocchio, ma oltraggiato dal 2°, allora, secondo le parole di mio padre, sei ‘più devoto all’ordine che alla giustizia’. E più appassionato di un inno che presumibilmente simboleggia la libertà di quanto tu lo non sia della libertà di vivere di un uomo nero.»
Bernice King su Twitter