Luigi Serafini, classe 1949, è un artista, architetto e designer italiano, conosciuto in tutto un mondo come autore del Codex Seraphinianus, l’enciclopedia di un mondo fantastico, illustrato e scritto in un alfabeto indecifrabile, pubblicato per la prima volta in forma di libro da Franco Maria Ricci nel 1981 composto da 360 tavole. Nel 1983 pubblica Pulcinellopedia.
Durante gli anni ’80 Serafini ha lavorato come architetto e designer a Milano. Ha creato scenografie, luci e costumi per il balletto The Jazz Calendar di Frederick Ashton al Teatro Alla Scala e ha anche lavorato per il Piccolo Teatro di Milano.
Ha lavorato con Federico Fellini per La voce della luna e ha esposto le sue opere alla Fondazione Mudima di Milano, alla XIII Quadriennale, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al Futurarium di Chicago e alla Didael Gallery di Milano e molto altro ancora.
In molti sono i grandi ad aver scritto del suo lavoro scrittori ed artisti tra cui Italo Calvino, Roland Barthes, Tim Burton.
Luigi Serafini l’artista fuori dagli schemi
Quando parliamo di Luigi Serafini 3 sono i termini che prendiamo subito in considerazione: visionario, surreale, metafisica.
L’artista mette il surreale al primo posto, e considera l’essere visionario parte integrante del suo essere surrealista. Sono tre termini che possono suonare come sinonimi, ma non lo sono: visionario può essere definito Dante nella Divina Commedia, che diventa lei stessa surrealista, la metafisica è legata essenzialmente alla definizione della pittura di De Chirico.
Nelle sue opere spesso ritorna la natura, sia la botanica che la zoologia sono dei riferimenti costanti, in particolare la zoologia.
Serafini e l’arte
Il sistema dell’arte non è mai appartenuto a Serafini che ha sempre cercato di aggirarlo. Il Codex, e i libri in genere, gli hanno permesso di rimanere nell’ambito dell’arte ma di non dipendere da gallerie. L’artista ritiene da sempre che il sistema dell’arte è un sistema in cui i valori sono determinati più dal mercato non trasparente facilmente manipolabile che non dal pubblico.
Serafini nello scrivere il Codex, la sua opera più rappresentativa, senza volerlo, è diventato di fatto un enciclopedista di un mondo che non esiste, di un mondo tutto suo, in cui ha potuto esplorare a fondo le sue fantasie in una sorta di autoanalisi.
Riteneva che sia la parola che l’immagine avessero uguale capacità e importanza e per questo le ha volute mettere insieme, in un modo “fantastico”.
L’utilizzo della parola
La scrittura è asemica quindi non c’è una sintassi, non c’è dietro un significato e lo stesso vale per le immagini, sono anche queste fantastiche. Mettere insieme due concetti immaginifici senza apparente senso come immagine e parola, alla fine riescono a creare un senso, una relazione che ormai è nella nostra natura notare.
È proprio nel mettere insieme immagini e linguaggio fantastici che Serafini crea un altro sistema di comunicazione, con linguaggio inventato che in realtà ha funzionato dato ha creato una lingua immaginaria, quella che non si deve leggere e non si sa cosa voglia dire
Questo è un libro chimera, un libro ibrido e irreale. Un libro più volte ristampato e poi scomparso, per poi riapparire sotto altra veste.
Il Codex
Per molti è il libro dei libri. Quello, il solo, che possa competere con Hypnerotomachia Poliphili, stampato da Manuzio nel 1499.
Si narra che Luigi Serafini, dopo aver generato il Codex, tra il 1976 e il 1978, si fosse appostato sotto l’ufficio della casa editrice di Ricci, a Milano, con in mano una fotografia dell’editore, per poterlo riconoscere e mostrargli le tavole del Codex, che contengono più di mille illustrazioni.
Serafini ha creato un suo mondo magico, un vero e proprio codice per leggere e interpretare la natura. Un libro che in pratica aspetta ancora una traduzione, o addirittura la scoperta della sua Stele di Rosetta.