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Cosa vuol dire DPCM, l’acronimo che gli italiani hanno imparato a temere nel 2020?

Cosa vuol dire DPCM, quella sigla che abbiamo sentito ormai a più riprese da quando è iniziata la pandemia mondiale causata dal coronavirus? Lo abbiamo sentito menzionare le prime volte all’inizio della quarantena, quando sono iniziati ad aumentare i casi e, di conseguenza, le restrizioni. Dopo i primi DPCM di marzo, con i quali è stata decretata la chiusura totale, ne sono susseguiti diversi che, man mano, hanno dato diverse indicazioni allo scopo di contenere la diffusione del virus nel territorio italiano.

Negli utlimi giorni sono tornati nella bocca di tutti, soprattutto visto il recentissimo DPCM del 18 ottobre, il quale prevede la chiusura anticipata delle attività di ristorazione, limiti alla pratica degli sport, maggiore autonomia per i sindaci e il mantenimento della didattica in presenza per scuole e università, nel rispetto delle norme. Tuttavia, in molti si chiedono cosa significa l’acronimo DPCM, dato che non è una terminologia nota a chi non è dell’ambito giuridico. Vediamo, allora, cosa vuol dire DPCM e tutto ciò che c’è da sapere al riguardo.

La domanda che tutti si pongono: cosa vuol dire DPCM? E chi li emana?

Cosa vuol dire DPCM – The Web Coffee (fonte: Pinterest)

Quindi, cosa vuol dire DPCM? Partiamo con ordine: un D.M. è un Decreto Ministeriale, ossia un atto amministrativo emanato da un ministro. Il DPCM, quindi, è un Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, un decreto emanato esclusivamente dal presidente del Consiglio, detto anche primo ministro o premier, che nel Governo attuale è Giuseppe Conte. I DPCM, in ordine di gerarchia, si trovano sotto alle Leggi e ai Decreti Ministeriali e, a differenza dei decreti legislativi, non hanno forza di legge.

Una delle peculiarità dei DPCM è la velocità con cui possono essere emanati, in quanto necessitano solo dell’approvazione del presidente del Consiglio. I D.M., invece, devono essere precedentemente firmati dal presidente della Repubblica. Proprio per questo motivo i D.M. sono generalmente preferiti rispetto ai DPCM, in quanto, essendoci un ulteriore passaggio in Parlamento, consentono una maggiore collaborazione e più dialogo con l’opposizione.

I DPCM, come abbiamo potuto osservare in questi tempi di pandemia, si applicano a determinati ambiti e settori, per regolare questioni tecniche. Per i DPCM legati al covid-19, in particolare, vengono prima consultati esperti del settore per una valutazione accurata, e per capire come procedere. Ed è proprio per la rapidità con cui il virus dilaga che questo strumento, con il suo brevissimo iter, viene preferito.

I DPCM sono illegittimi?

Dopo aver visto cosa vuol dire DPCM, passiamo a un altro dubbio molto frequente su di essi. È stata spesso contestata nel corso di questa pandemia, infatti, la loro legittimità. La limitazione degli spostamenti nel territorio nazionale e l’alta frequenza con cui sono stati emanati ha creato non poche discussioni in merito.  Ci sono, comunque, dei criteri precisi che vanno rispettati scrupolosamente.

Naturalmente, essendo il DPCM di rango gerarchico inferiore, come abbiamo visto, necessita di determinati requisiti per poter essere considerato legale. In primo luogo, deve appoggiarsi a un Decreto o una Legge di rango superiore. Per esempio, alla base dei decreti riguardanti il covid-19 ci sono due Decreti Legge, il n.6/2020 (articoli 1 e 3) e il n.19/2020 (articoli 1 e 2). Se questo presupposto manca, il DPCM viene automaticamente annullato.

Altri fattori che possono portare all’annullamento di un DPCM sono l’incompetenza assoluta, che si ha quando chi ha emanato l’atto non aveva il potere di farlo. Nel caso del DPCM, se non si tratta del presidente del Consiglio, unica figura amministrativa che può attuarlo. Anche la violazione di una legge o un abuso di potere dimostrabile ne determinano l’annullamento immediato. Viene considerato inopportuno, invece, quando viola l’art. 97 della Costituzione, che riguarda la buona amministrazione.

 

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