La pandemia di Covid-19 sta mettendo tutti a dura prova. Medici e personale sanitario che lavorano senza sosta, imprenditori costretti a chiudere le attività e purtroppo ancora troppi negazionisti. Tra le persone più colpite da tutti i provvedimenti ci sono anche le mamme bloccate a casa. Donne, lavoratrici e non, che stanno pagando a caro prezzo le scelte messe in atto per arginare il virus.
Abbiamo visto come in diverse città centinaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il dpcm del 24 ottobre. Ci sono state manifestazioni e flash mob pacifici organizzati da associazioni di categoria per protestare contro la chiusura anticipata di bar e ristoranti e la sospensione delle attività di teatri, cinema, palestre e piscine.
Immancabili anche le proteste contro la didattica a distanza che, oltre a limitare l’aspetto umano e sociale della scuola, favorisce un certo classismo. Non tutti gli studenti hanno la fortuna di avere un computer personale, molti devono condividerlo con fratelli e/o sorelle oppure con i genitori in smart working.
Ed è proprio tra smart working e didattica a distanza, che molte precauzioni per evitare il contagio si ripercuotono sulle mamme bloccate a casa. Vediamo come la pandemia sta ostacolando i progressi fatti verso l’indipendenza economica delle donne.
Mamme bloccate a casa: cosa ha cambiato la pandemia
La pandemia ci ha insegnato una importante lezione sulla gestione del tempo e la divisione del lavoro domestico. Poter fare affidamento sul proprio partner è fondamentale per riuscire a trovare un giusto equilibrio tra lavoro, figli e faccende domestiche.
Già prima della pandemia, ad occuparsi del lavoro di cura della casa e dei figli erano prevalentemente le madri. Una disparità di genere abbastanza marcata in Italia, dove le donne dedicano ai lavori di casa circa 4,5 ore al giorno, contro le 1,5 ore degli uomini.
Si potrebbe pensare che questi dati riguardino soltanto le madri che non lavorano, ma non è così. Anche quando le donne contribuiscono al reddito tanto quanto gli uomini, sono loro a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura.
Durante il periodo di isolamento la situazione è peggiorata. Le mamme, bloccate a casa, hanno dovuto riorganizzare la quotidianità tra lavoro, cura della casa, gestione dei figli e spesso assistenza ai familiari più anziani.
Quasi tutte le madri si prendevano cura dei figli durante l’isolamento sacrificando il loro tempo di lavoro, mettendo in atto strategie diverse per far fronte alla nuova situazione.
Tra i vari tipi di assistenza, quello che pesa di più è l’assistenza ai figli per compiti e didattica online. Questo compito viene inoltre enfatizzato dal fatto che tutte le mansioni quotidiane si sono dovute svolgere in contemporanea.
Indagine Ipsos per WeWorld
Il 60% delle mamme bloccate a casa ha dovuto gestire da sola famiglia, figli e persone anziane, spesso insieme al lavoro. Un carico pesante, che ha portato 1 donna su 2 a dover abbandonare piani e progetti a causa del Covid.
Tra queste, le più in sofferenza sono quelle tra i 31 e 50 anni: in questa categoria il 71% dichiara di fare tutto da sola. Se prendiamo in considerazione solo la cura dei bambini, l’85% delle donne tra i 18 e i 30 anni, si prende cura dei propri figli senza alcun aiuto.
Gli uomini sono convinti di dare un supporto maggiore di quello percepito dalle partner. Il 47% degli uomini dichiara di essersi preso cura dei figli insieme alla compagna contro il 22% delle donne che percepisce di aver collaborato con il partner.
Questi sono i dati risultati dall’indagine di Ipsos per WeWorld chiamata Donna e cura in tempo di Covid-19.
WeWorld è un’organizzazione italiana che da 50 anni difende i diritti di donne e bambini in 29 Paesi del Mondo. Questa indagine si inserisce nella campagna #Togetherwebalance lanciata sempre da WeWorld per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà che le famiglie e i più fragili stanno attraversando durante l’emergenza Covid-19.
cosa ci aspettiamo dal futuro
«Questi dati mostrano come le misure messe in campo dalle Istituzioni siano inadeguate o insufficienti a rispondere ai bisogni delle donne in particolare e delle famiglie in generale per garantire i loro diritti”. Queste sono le parole di Marco Chiesara, presidente di WeWorld.
“Le donne dichiarano un senso di oppressione, di difficoltà nel gestire un carico mentale e fisico enorme, nella maggior parte dei casi senza poterlo condividere con nessuno. Questi dati sono confermati dalle richieste di aiuto gestite dalla nostra helpline dedicata alle donne in difficoltà, che abbiamo attivato durante l’emergenza.”
“Il Coronavirus ha agito come amplificatore di una situazione già presente, e purtroppo spesso ignorata: il senso di oppressione e il carico familiare e di cura delle donne hanno infatti radici profonde nel nostro contesto culturale”.
Se è vero che ogni situazione di crisi nasconde un’opportunità, quella presentata dal coronavirus sarà l’occasione per imparare un nuovo modo di lavorare. Nella speranza che sia più flessibile e più attento ai bisogni di donne e uomini con e senza figli.