Lo scorso 18 settembre è stata celebrata la prima Giornata internazionale della parità di retribuzione indetta dall’ONU. Iniziativa volta a combattere questa discriminazione basata unicamente sul genere: le donne infatti continuano ad essere pagate circa il 20% di meno rispetto agli uomini.
Il Global Gender Gap Report 2020 segnala che l’Italia è scesa dal 70° al 76° posto mondiale nella classifica dei Paesi che attuano la parità salariale. Una donna italiana guadagna in media circa 17.900 euro l’anno rispetto ai 31.600 euro guadagnati in media dagli uomini. Le donne vengono quindi pagate meno, ma il carico di lavoro è maggiore. Alle ore lavorative stipendiate si aggiungono le ore di lavoro non retribuito spesso a carico delle donne, ovvero il lavoro domestico e di cura. Risulta quindi che il divario salariale di genere, o Gender Pay Gap, colpisca in particolar modo le donne con figli.
Secondo il World Economic Forum, la disparità retributiva verrà colmata tra 257 anni.
Parità di retribuzione: la discriminazione salariale
In Italia, gli elementi fissi che compongono la retribuzione sono stabiliti dai contratti collettivi nazionali, senza differenziazioni di genere e pertanto garantiscono parità di retribuzione. Nessun datore di lavoro può quindi discriminare apertamente un dipendente basandosi solo sul genere.
Eppure questo è ciò che accade, seppur in modo tanto normale e allo stesso tempo tanto furtivo.
Le donne, indipendentemente dal fatto che abbiano figli, sono pagate meno degli uomini. Molte aziende ritengono che possano produrre meno a causa di ipotetiche assenze sul lavoro dovute a possibili responsabilità di cura della famiglia.
A ciò si aggiunge l’impossibilità, nella maggior parte dei casi, di dimostrare questa discriminazione salariale.
Parità di retribuzione: scappatoie legali
La discriminazione salariale persiste ancora in quasi tutti i settori. È necessario mettere in pratica le leggi per eliminare il divario salariale, ed è fondamentale che i datori di lavoro si assumano la responsabilità di pagare i dipendenti in modo corretto.
Negare la discriminazione di genere
Nel corso del tempo le aziende hanno sviluppato diverse scappatoie legali. Ciò ha reso più semplice per i datori di lavoro non essere ritenuti responsabili del divario salariale tra impiegati ed impiegate.
Molto spesso questi casi di discriminazione non ottengono giustizia perché i datori di lavoro negano che la differenza di retribuzione sia basata sul genere. I datori di lavoro possono vincere cause legali con le argomentazioni più disparate, orbitando attorno alla discriminazione di genere, senza però mai parlare chiaramente di genere.
Assenza della controparte
Se si parla di parità di retribuzione qualcuno chiederà sempre della controparte, ovvero qualcuno con cui sia possibile fare un paragone. Ma quando si parla di eventuali cambiamenti, le aziende sono in grado di muoversi molto velocemente e sembra che non ci sia mai nessuno disponibile per un confronto salariale.
Quindi nessun lavoratore viene pagato meno, perché è considerato un individuo unico anche se svolge un lavoro molto simile a qualcun altro.
Per la parità di retribuzione è quindi fondamentale poter fare raffronti significativi, ed evitare situazioni in cui tutti gli impiegati sono considerati talmente unici da non poter confrontare due stipendi.
Parità di retribuzione: come individuare una paga ingiusta
Le disparità salariali sono difficili da rilevare. È raro che qualcuno conosca l’esatto stipendio della sua controparte. Le persone di solito scoprono di essere pagate meno per caso: qualcuno fa un’osservazione casuale e scopri che stai guadagnando il 10% in meno rispetto alla persona che svolge il tuo stesso lavoro.
Bisogna essere più trasparenti sui salari ed eliminare le regole di alcuni datori di lavoro che impediscono ai dipendenti di parlare chiaramente dei loro stipendi.
Gli Stati Uniti
Molti Stati stanno cercando di limitare le possibilità che i datori di lavoro possano commettere pratiche che consentano la diffusione delle disparità retributive. Gli stati del Massachusetts, di New York e della California si stanno sbarazzando della corrispondenza salariale (salary matching), ovvero l’idea secondo la quale qualunque cosa tu abbia fatto nel tuo ultimo lavoro è il punto di partenza per il tuo prossimo.
Dato che le donne tendono a guadagnare di meno, questo significa che per i futuri lavori inizieranno sempre da un livello più basso, portandosi dietro una retribuzione inferiore lavoro dopo lavoro.
Queste soluzioni sono ora incorporate nel Paycheck Fairness Act, introdotto alla Camera e al Senato, ma non ancora approvato.
Un’altra azione che aiuta la trasparenza in questo campo è la raccolta di informazioni sulle retribuzioni. La Commissione per le pari opportunità di lavoro degli Stati Uniti (EEOC) avrebbe dovuto iniziare ad attuare un controllo sugli stipendi dei lavoratori di tutto il paese, ma l’amministrazione Trump ha impedito che entrasse in vigore.
Tuttavia, alcuni Stati stanno raccogliendo queste informazioni, con almeno due importanti conseguenze. I datori di lavoro sono in un certo senso obbligati a conoscere i dati salariali, impedendo quindi che le discriminazioni salariali continuino senza che nessuno se ne accorga. Rende più semplice l’applicazione dei diritti civili a livello federale e statale perché i datori di lavoro saranno informati dai dati sul divario retributivo.