Cos’è il “nettare degli dei”?
Chiamato di consueto “nettare degli dei“, decantato e dipinto in odi, opere e poemi da artisti d’ogni epoca, è la bevanda per eccellenza, inebriante, coinvolgente, quella che stimola menti, sensi, umori e sentimenti: parliamo del vino, ovviamente.
L’uomo ha spesso considerato questa bevanda come un vero e proprio dono degli dei: dal Bacco romano al Dioniso greco, fino al dio egizio Osiride, innumerevoli sono le divinità a cui è associata l’origine del vino.
Anche per questo i racconti ed i miti legati ad esso sono svariati e numerosissimi, leggende ammalianti ed incredibilmente seducenti.
E la storia del vino non è certo meno affascinante del mito: è una storia che ci parla di terra, arte, natura, di grande passione e di antiche culture, di duro lavoro e immenso amore per il territorio.
Attraverso un percorso millenario, “degusteremo” insieme i miti, la storia e le leggende legate alla nascita della bevanda più conosciuta al mondo, detta (non a caso!) “il nettare degli dei”.
Origine del vino
Leggenda narra che la vite abbia fatto la sua comparsa nel mondo circa 200 milioni di anni fa: lo dimostrerebbero antichi fossili trovati nel Caucaso.
Ad ogni modo, svariati sono i fossili antichi almeno un milione di anni che testimoniano la presenza della vite in alcune zone europee dove ancora oggi viene coltivata.
Oggi sappiamo che furono i Fenici a portare la vite in Grecia: successivamente, quando i Greci colonizzarono l’Italia meridionale (appunto, la “Magna Grecia”), portarono la coltivazione della vite anche nella nostra Penisola.
Coltivazione che venne poi ripresa prima dagli Etruschi, poi dagli antichi Romani.
Il vino come bevanda nasce (forse per caso) in Europa medio-orientale, dalla fermentazione spontanea del succo d’uva conservato in otri di pelle.
Veniva già prodotto, tuttavia, dalle popolazioni che vivevano lungo i grandi fiumi come il Nilo, il Tigri e l’Eufrate: questo vino era però “conciato” con miele, spezie ed altri prodotti.
La venerazione per il vino si diffuse dal popolo egiziano a quello ebreo, fino ad arrivare ad arabi e greci.
Testimonianze del “vero vino” possiamo infatti ritrovarle proprio nell’antica Grecia: qui il nettare degli dei era la bevanda legata ai culti di Dioniso, veniva usato per festeggiare le vittorie in guerra e durante i riti propiziatori.
Durante questo periodo la vite si espande oltre il Mediterraneo, sbarcando in Sicilia e poi verso l’Europa.
Successivamente la viticoltura fu ripresa dai romani, in onore del dio Bacco: non dimentichiamo a tal proposito i celeberrimi “Baccanali”, celebrazioni dedicate al dio del vino, divenute un vero e proprio culto i cui riti sfociavano spesso in sontuosi banchetti, orge estatiche e danze sfrenate.
Ci fu poi il periodo oscuro del Medioevo, durante il quale non sono pervenute prove di alcun progresso in ambito enologico: tuttavia era, insieme al pane, uno dei principali alimenti del popolo.
Soltanto per questo, e per il suo utilizzo durante i riti cristiani (e dunque grazie al lavoro dei monaci di riscrittura degli antichi trattati), i principi della coltivazione della vite sono stati tramandati sino al Rinascimento.
E proprio con il Rinascimento il vino ritrova la meritata gloria: con il passare degli anni, la selezione naturale e la crescente esperienza dell’uomo portarono alla scoperta dei territori migliori per la viticoltura.
Inoltre, in questo periodo, alcuni nobili illuminati portarono la viticoltura ad un’estensione sempre maggiore, che nel 1500 arrivò a coprire in Europa un’area quattro volte superiore rispetto a quella attuale!
Nel 1600 venne introdotta invece la bottiglia di vetro e, nel secolo successivo il tappo di sughero.
Il nettare degli dei in epoca moderna
All’inizio del’900, la storia del vino in Europa subì una svolta brutale: pochissimi furono i vitigni considerati adatti per la coltivazione. Molte specie autoctone minori scomparvero per sempre.
Alcune specie d’Oltralpe vennero invece importate in Europa, diventando parte integrante del territorio e della successiva tradizione.
Si entra così nella viticoltura moderna.
Uno scandalo tutto italiano colpì poi nel 1986 l’enologia: per la precisione, l’utilizzo di metanolo da parte di qualche folle disonesto, per alzare la gradazione alcolica nei vini di bassa qualità.
Le conseguenze furono tragiche: decine di morti e casi di cecità permanenti, ed un ovvio danno d’immagine per la produzione vinicola italiana.
Questo fu il segno definitivo che anche l’Italia aveva necessità di introdurre non solo norme più severe, ma anche amore e passione per la qualità.
E’ in questo momento che accanto ai celebri Valpolicella, Lambrusco, Chianti e Frascati, si affiancarono il Barbaresco, il Sassicaia ed il Tignanello.
Era ufficialmente giunta l’epoca dei “Supertuscan“, ma la vera novità fu la svolta qualitativa che ne derivò: tantissimi produttori grandi e piccoli, iniziarono a capire che qualità ed eccellenza erano le sole chiavi per il successo.
Oggi, sono i piccoli produttori a portare in alto, con fierezza, la bandiera del territorio.
Perché la qualità deve venire necessariamente prima di volume e quantità: e questo è possibile solo lavorando con amore, con rispetto per la terra ed i frutti che offre e con un profondo radicamento nel territorio.
Ed oggi l’Italia eccelle proprio per questo.
3 leggende sul vino, il “nettare degli dei”
I miti sulle origini del vino, l’abbiam detto, sono svariati e numerosissimi. Tuttavia esistono tre celebri “divine leggende” legate ad esso, probabilmente anche le più ammalianti, collegate proprio alle tre divinità il cui culto è basato, appunto, sull’estasi, l’ebbrezza ed il trionfo del vino.
Scopriamole insieme!
Il nettare degli dei – leggende sul vino: la storia di Dioniso
Torniamo nell’antica Grecia per la prima leggenda legata al “nettare degli dei”, quella tra l’altro più diffusa: parliamo del mito di Dioniso, dio del vino e dell’estasi, colui che donò agli esseri umani la pratica della coltivazione delle viti.
Nacque dalla coscia di Zeus e della bellissima principessa Semele: Zeus, affascinato dalla donna, decise di assumere sembianze umane per sedurla.
Semele però restò incinta: quando Era, moglie di Zeus, venne a conoscenza dell’infedeltà dell’uomo, accecata dalla gelosia si presentò alla principessa nei panni di nutrice, seminando in lei il dubbio che il padre del bambino non fosse chi diceva di essere.
Per liberarsi da quella confusione, Semele chiese a Zeus di presentarsi a lei come divinità, non come mortale. Il dio dell’Olimpo, che l’amava, non potè sottrarsi alla sua richiesta. Si trasformò allora in fulmini e saette, e la principessa morì carbonizzata. Ma il bambino nel grembo materno si salvò. Zeus lo posò sulla propria gamba e così nacque Dioniso.
Fu affidato ed allevato poi alle ninfe del monte Nisa ed a Sileno, anziano generoso con il dono della profezia, e crebbe in compagnia di satiri, ninfe e menadi.
Una volta cresciuto, mostrò d’avere uno spirito errante, era allegro e intraprendente, appassionato e fortemente attratto dalle nuove scoperte.
E fu infatti proprio lui a scoprire la vite, e consacrò la sua vita ad esplorare nuove terre insegnando ai popoli l’arte del vino.
Accadde così: durante uno dei suoi viaggi verso Nasso, l’isola delle Cicladi in cui era diretto per liberare Arianna (che secondo i miti poi sposò), scoprì una pianta a lui sconosciuta: la vite. Incuriosito, decise di conservarla all’interno di alcune ossa di animali. Una volta giunto a destinazione, si rese conto che la pianta era cresciuta, producendo tra l’altro grappoli dolcissimi.
Per una fortuita casualità, si trovò a spremerli: così Dioniso creò il vino.
La stessa isola di Nasso oggi è considerata il primo luogo in cui si diffuse il culto di Dioniso, nonché patria del vino.
Il nettare degli dei – leggende sul vino: il mito di Osiride
Presso gli antichi egizi, sin dall’Antico Regno il vino veniva utilizzato per scopi religiosi, assumendo pertanto una forte valenza sociale.
Furono per questo diffusi numerosi miti riguardo la sua origine, il più celebre dei quali parla proprio di Osiride.
Osiride è una divinità fortemente associata alla viticoltura: era figlio del dio della Terra Geb e della dea del Cielo, Nut.
L’amore e la passione tra Geb e Nut erano così intensi da rendere i due fratelli amanti inseparabili, e ciò impediva la nascita dei loro figli.
Intervenne così il loro padre, Ra, dio del Sole, per garantire alla Terra ed al Cielo un futuro prospero: tenne a terra Geb e sollevò in alto Nut, riuscendo finalmente a separarli.
Nacquero così cinque figli, Osiride, Horus, Seth, Iside e Nefti, ed il loro compito fu quello di “costruire” la terra, popolandola e rifornendo poi gli uomini del necessario per vivere.
Ed Osiride era appunto colui che portò la civiltà agli uomini, insegnò loro come coltivare la terra e come produrre il vino. Fu per questi motivi, molto amato dal popolo.
Il vino era molto apprezzato dagli antichi egizi, esso si otteneva infatti tramite un lunghissimo e raffinato processo, e la coltivazione della vite aveva per loro una notevole importanza: persino le tombe dei defunti venivano rifornite con anfore ricolme per la loro esistenza nell’aldilà.
Proprio le pitture murali delle tombe testimoniano le diverse fasi attraverso cui si otteneva questa bevanda: l’irrigazione delle viti, la raccolta dei grappoli ed il trasporto all’interno delle giare, la pigiatura e la pressatura ed il modo in cui veniva filtrato il mosto, e persino i metodi utilizzati per la fermentazione e la maturazione del vino, oltre al luogo in cui era conservato ed il controllo di produzione.
Il vino prodotto era generalmente rosso, profumato con spezie e reso dolce dal miele. Esisteva però, come testimoniano alcune raffigurazioni, anche un vino più chiaro, probabilmente un antico bianco.
Prima di iniziare a produrre il vino, si pregava il dio Sha (protettore delle vigne) perché il raccolto fosse abbondante ed il vino buono.
Ma fu Osiride ad essere legato all’origine del vino, ed assimilato poi a Bacco.
Nel Rituale dell’Imbalsamazione egli veniva così invocato: “Osiride è tralcio”, poiché si diceva fosse dispensatore di abbondanza nell’aldilà.
Per questo il vino era fondamentale anche nella vita dopo la morte.
Piccola curiosità: esisteva una dea protettrice degli ebbri, Hator, che presiedeva la “festa dell’ebbrezza“, festa durante la quale il popolo egizio accorreva al tempio della dea, a Dendara, circa venti giorni dopo l’inondazione del vino. Durante questa celebrazione venivano consumate grosse quantità di vino, inoltre venivano composte e recitate poesie erotiche.
Il nettare degli dei – leggende sul vino: il mito di Bacco
Bacco non è solo il corrispondente romano di Dioniso, ma anche il nome con cui inizialmente il dio greco veniva chiamato durante il momento della possessione estatica.
Bacchus infatti deriva dalla parola greca che sta per “chiasso“, “clamore” (da cui ha poi origine, in italiano, la parola “baccano“).
Nella religione romana, tuttavia, da appellativo divenne nome vero e proprio della divinità.
Dio del vino e della vendemmia, del piacere, dell’estasi, dei sensi e dell’ebbrezza, a Bacco venne dedicato un vero e proprio culto: il baccanale.
Anch’egli figlio di Giove e Semele, Bacco nacque come semidio e poi promosso a divinità da Giove per aver inventato il vino.
Tra i Romani era diffusa però un’altra leggenda riguardo le origini del nostro nettare degli dei, leggenda che coinvolge sia Bacco che Sileno.
Secondo il mito, Bacco chiese a Sileno, anche qui suo maestro, un consiglio su come conquistare nuove terre senza utilizzare però le armi.
“Tamburi, tirsi e il frutto della vite che, se spremuto, dà vigore al corpo come il sangue a cui assomiglia“, gli rispose il maestro.
Bacco dunque partì alla conquista di numerose terre grazie al prezioso suggerimento e, proprio in onore di Sileno, decise di trasformare quei territori in modo che si potesse coltivare la vite e produrre, appunto, il vino.
Secondo questa leggenda, fu dunque Sileno ad aver inventato il vino, mentre Bacco si “limitò” invece a diffonderlo tra gli uomini.
Non possiamo, infine, in onore del dio del vino, non citare anche “Il trionfo di Bacco e Arianna” di Lorenzo de’ Medici: un’ode al carpe diem oraziano, alla vita ed alla sua fugacità.
Un’esortazione a godere appieno delle gioie, della bellezza e dei sensi, poiché tutto è fugace, tutto svanisce prima o poi.
E dunque:
«Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia: / di doman non c’è certezza.»
E cosa dà più gioia di un buon calice di vino?
(Fonti: Quattrocalici.it, wineshop.it, sapendi.it)