Da oltre quarant’anni trascorsi nei paesi più poveri del mondo, teatro di guerre terribili, dove ha ritratto persone che mai avrebbero pensato di poter trovare un occhio attento e sensibile per le loro vicende ,
Se pensiamo alla Guerra Steve ha sempre raccontato la storia delle vittime, dei rifugiati, delle persone che devono abbandonare tutti i propri beni, il proprio lavoro, la casa, il paese in cui sono nati.
E’ sempre stato convinto che fossero i soggetti più deboli dell’umanità a poter raccontare grandi storie su quanto accade nel mondo.
Un po’ come quando devi acquistare un azienda, non chiederai mai all’amministratore delegato pregi e difetti, ma andrai a parlare con chi lavora in fabbrica …
Trent’anni fa, lo scopo della foto della sua foto più famosa, Sharbat Gula, la Ragazza Afghana, era quello di far conoscere la piaga dei rifugiati afghani, attirare l’attenzione del mondo su ciò che stava accadendo in quel lontano Paese, obiettivo decisamente raggiunto.
E’ consapevole che i suoi scatti non rappresentino un reale cambiamento per queste persone, ma può essere un modo per aiutarle, per portare a conoscenza di tutti le loro storie.
Un bel ritratto svela sempre qualcosa di importante di una persona e Steve è da sempre stato affascinato dalla possibilità di conoscere la storia e la vita di chi ha fotografato. Se un individuo ha avuto una vita dura, difficile, questo appare, è una sensazione che trasmette l’intera persona e si riflette nella sua fisicità” e di conseguenza nei suoi scatti.
Aveva poco più di vent’anni quando, in Pakistan, incontrò dei ragazzi provenienti da una regione che confina con il nord est dell’Afghanistan.
Gli raccontarono dei loro villaggi distrutti dalla milizia afghana.
Quando Steve disse loro di essere un fotografo gli chiesero di seguirli per documentare quanto loro stavano raccontando .
Inutile dire che lui accettò, , il giorno successivo li seguii per attraversare senza alcun documento un confine internazionale, travestito solo con un vecchio mantello locale, e si trovò senza preavviso in mezzo a una guerra. Fino ad allora non aveva mai fotografato in zone di guerra e c’erano dei momenti in cui avrebbe desiderato davvero trovarsi altrove .
Un volta li non poteva né tirarsi indietro, né abbandonare queste persone.
Per Steve era più importante onorare la parola data, convinto che la sofferenza di queste popolazioni e dei profughi afghani fosse una storia che andava raccontata”.