Dall’inizio delle ostilità contro l’Ucraina, quasi un mese fa, centinaia di marchi internazionali hanno chiuso i battenti in Russia. Tra questi figura McDonald’s che prontamente è stato sostituito dalla catena “Zio Vanja” totalmente russa. Che cosa si cela dietro a questa mossa e cosa ha significato per Mosca la nota catena di fast food?
Zio Vanja: la Russia risponde alla chiusura del McDonald’s. Che cos’è Zio Vanja?
Tra fine febbraio e la prima metà di marzo, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, moltissimi marchi internazionali hanno chiuso o hanno enormemente limitato le attività nel grande Paese euroasiatico.
Tra queste società multinazionali spicca la celeberrima catena di fast food McDonald’s. Nell’intero territorio russo sono presenti circa 850 ristoranti in cui lavoravano 62000 dipendenti.
Lo stop delle attività in Russia è a tempo indeterminato tanto che il Washington Post ha riportato questa dichiarazione di Chris Kempczinski, amministratore delegato di McDonald’s, rivolta ai dipendenti:
“Stiamo subendo interruzioni della nostra catena di approvvigionamento insieme ad altri impatti operativi.”
Tuttavia la compagnia ha assicurato che continuerà a pagare i salari ai dipendenti sia russi che ucraini.
Questa situazione è delicata per Mosca: piovono pesanti sanzioni che mettono in difficoltà l’economia; l’avanzata nel territorio di Kiev va a rilento e, infine, la popolazione contraria alla guerra è in tumulto.
Per drenare i danni causati dal fuggi fuggi delle compagnie straniere, Putin ha dato inizio al piano per nazionalizzare le imprese estere per salvare i posti di lavoro.
Questo piano viene applicato anche per il McDonald’s. Il 12 marzo è stato depositato il marchio di “Zio Vanja”, la catena di ristoranti fast food che sostituirà quella a stelle e strisce.
Il logo di Zio Vanja, “Дядя Ваня” (dyadya Vanya) in russo, ricorda moltissimo quello originale del McDonald’s. Infatti è formato da una B, che in cirillico indica la nostra V, e assomiglia ai tre famosi archi dorati della M di McDonald’s, ma inclinati.
Il nome della catena deriva dall’ omonima opera teatrale di Anton Cechov risalente al XIX secolo. Attualmente, però, ancora nessun locale è stato aperto con questo nome e questo logo.
La notizia della creazione di Zio Vanja ai danni della multinazionale americana era già stata diffusa dal presidente della Duma Vyacheslav Volodin:
“Hanno annunciato che stanno chiudendo. Bene, ok, chiudete. Ma domani in quei luoghi non dovremmo avere McDonald’s, ma Zio Vanja. I posti di lavoro devono essere preservati e i prezzi ridotti.”
Ciò significa che tutte le sedi di McDonald’s sul territorio russo saranno, almeno nelle intenzioni della leadership di Mosca, rilevate e affidate ai marchi russi.
Lo stesso Vladimir Putin ha spiegato le modalità con cui lo Stato prenderà possesso delle imprese che hanno abbandonato la Russia e le venderà ai connazionali.
Inoltre i funzionari del Cremlino hanno addirittura affermato che la Russia potrà ignorare i brevetti dei Paesi che giudica ostili.
Zio Vanja: la Russia risponde alla chiusura del McDonald’s Il fast food come simbolo di una nuova era.
La nota catena di ristoranti fast food americana ha nella storia recente della Russia un valore molto particolare.
Infatti fu una delle prime società occidentali ad aprire i battenti in un’ Unione sovietica sull’orlo del collasso nel 1990.
In pratica, agli occhi dei Russi, il simbolo dell’apertura della Russia che per buona parte del Novecento era rimasta isolata.
La chiusura dei ristoranti McDonald’s ha vanificato tutti quei processi che si sono sviluppati in 30 anni di storia. La giornalista Anna Zafesova ha commentato così la parabola trentennale del McDonald’s in Russia:
“È la fine di un’epoca, iniziata con l’apertura all’Occidente negli ultimi anni ‘80 con la perestrojka.”
Sulla portata della novità che ha rappresentato questa apertura nel suo Paese, la giornalista ha affermato:
“La storia ha compiuto con un cerchio completo: dall’inaugurazione nel 1990, alla chiusura nel 2022 del McDonald’s, simbolo di quello che era un mondo aperto. La novità non era che ti davano un hamburger, ma che entravi in un ristorante e c’era cibo, non dovevi corrompere il cameriere per sederti. Il cameriere addirittura sorrideva, diceva ‘grazie’. Chiunque poteva entrare, pagare e avere il suo hamburger, perfettamente uguale agli altri. Ora è il ritorno della Unione Sovietica, il mondo che tutto sommato vorrebbero ricostruire.”
Le catene di ristorazione ebbero nella popolazione dell’Unione sovietica una grande eco, ma non tanto per i panini in sé e per sé, quanto per la grande apertura al mondo esterno e alla fine della guerra fredda che essi simboleggiavano.
Il fotografo Mitya Kushelevich racconta in questo modo che cosa i Russi nel 1990 vedevano in quel cibo spazzatura mai assaggiato prima d’ora:
“Noi non sapevamo cosa fosse il fast food. Pensavamo che forse avrebbe avuto il sapore della libertà e volevamo provarla.”
Ciò, però, non significa che all’improvviso la Russia dei primi anni ’90 si fosse riscoperta amante dell’America con le prime aziende a stelle e strisce sul suo suolo.
Fiona Hill, analista dell’intelligence per la Casa Bianca ed esperta della Russia, spiega che i Russi non volevano essere come gli Usa, “ma volevano le stesse cose: i jeans, le sigarette, le gomme da masticare e i burger.”
Tuttavia l’occidentalizzazione seguita al crollo dell’URSS ben presto si rivelò traumatica per l’economia di tutti i Paesi del Patto di Varsavia.
In Russia i governi liberali coadiuvati da assistenti occidentali produssero un disastro economico che, invece di portare ad una transizione verso l’economia di mercato, condussero alla nascita di oligarchi super ricchi e alla povertà dilagante.
Zio Vanja: la Russia risponde alla chiusura del McDonald’s. Le sanzioni e la fuga dei brand internazionali dalla Russia sono efficaci?
In questo conflitto tra Kiev e Mosca stanno giocando un ruolo importante le sanzioni economiche contro la seconda.
Il dibattito in Occidente si focalizza sull’efficacia o meno delle misure adottate per mettere in crisi il Cremlino e minare alla base il potere di Vladimir Putin.
In questo tema così delicato e complesso si stagliano due fronti: coloro che credono che le sanzioni non sortiranno un grande effetto in una Russia che da anni combatte contro di esse e che, anzi, creano problemi alle economie dei Paesi sanzionatori e quelli che, invece, credono nel loro effetto.
Inoltre coloro che propugnano la seconda tesi spesso precisa che vengono colpiti gli oligarchi russi, attori importantissimi non solo nell’economia e nella finanza, ma anche nella politica di Mosca.
Quindi le sanzioni, oltre ad avere un valore economico, sono un’arma per gettare il caos tra le leve del potere della Russia.
Ma tornando alla questione della fuga delle compagnie come McDonald’s, c’è da precisare che esse si sono allontanate in vari modi dalla Russia.
La Yale Management School tiene traccia di questo esodo e al momento segna che più di 400 compagnie stanno in varia misura rompendo i rapporti con Mosca.
L’istituto di ricerca le ha raggruppate in 5 categorie:
- Ritirate, cioè hanno rotto ogni rapporto;
- In sospeso, quindi sono temporaneamente chiuse, ma pronte a riaprire se la situazione lo permette;
- Ridimensionate, ovvero riducono le loro attività mantenendone sempre alcune attive;
- Alcune stanno temporeggiando trattenendo gli investimenti, ma continuando ad operare in territorio russo;
- In corso di ritiro: le aziende stanno definendo i termini della chiusura delle loro attività.
Su ciò che la chiusura dei brand esteri causerà ai Russi si è espresso Maxim Mironov, economista della IE Business School di Madrid.
Mironov intravede i sintomi dei disordini che probabilmente scuoteranno la Russia nelle prossime settimane.
La combinazione delle sanzioni con la chiusura delle compagnie estere priverà Mosca di beni d’importazione di fondamentale importanza come il cibo.
Le compagnie aeree e le manifatture non potranno ottenere dall’ estero le componenti delle quali hanno bisogno per rimanere in efficienza.
Infine il rublo, la moneta russa, ha perso molto valore e ciò rende ancora più difficile importare beni, in quanto saranno molto più costosi.
Mironov descrive questa tenaglia che sta per stritolare l’economia russa così:
“Non è come una bomba che colpisce una casa e la distrugge immediatamente. Le persone possono ancora comprare cose, le persone hanno ancora del denaro, le persone possono ancora viaggiare all’interno della Russia. Ma molto presto sarà diverso. Sarà un disastro.”
Putin e il suo partito, Russia Unita, spingono sulla nazionalizzazione delle fabbriche dei “Paesi ostili” che chiudono e la loro vendita all’asta per preservare i posti di lavoro come nel caso di Zio Vanja.
In particolare questa regola verrà attuata in tutte quelle compagnie che le Nazioni “ostili” posseggono al 25% e che hanno fermato le attività nel Paese euroasiatico.
Tuttavia questa mossa non è piaciuta alla Casa Bianca che ha subito promesso altre ritorsioni economiche se la Russia davvero l’applicherà.
D’altronde, Mironov osserva che la nazionalizzazione delle strutture non sortirà alcun vantaggio per Putin.
Infatti, sostiene l’economista della IE Business School, i funzionari russi non capiscono come funziona l’economia moderna e le fabbriche comprate all’asta saranno improduttive senza il materiale importato:
“Se tu avessi una fabbrica BMW, ma la BMW non ti invia i componenti, qual è il punto? Se tu prendessi un negozio Ikea e Ikea non ti mandasse i prodotti, questa cosa non funzionerà!”
Per provare ad aggirare questo ostacolo, Putin ha approvato un decreto che permette alle aziende russe di violare i brevetti di quelle occidentali.
In questo modo, afferma lo studio legale Baker McKenzie, la Russia “può provare a produrre device e tecnologie che scompaiono dal mercato russo o saranno in grave penuria.”
In conclusione, la questione di Zio Vanja, per quanto a prima vista di poco conto e quasi comico nella sua goffa rivisitazione del McDonald’s, nasconde problemi molto più complessi e articolati.
In un hamburger i cittadini russi vedono la loro storia passata, l’apertura al Mondo al di là della Cortina di ferro, e il futuro incerto e tempestoso generato dalla guerra in Ucraina.