So di essere una voce fuori dal coro per due ragioni principali: non avevo mai visto Harry Potter fino ad una settimana fa e ora che mi sono costretta a farlo, sento ancora un profondo fastidio.
Ho sempre amato essere informata su tutti i film e le uscite cinematografiche, altrimenti non potrei giustificare il perché abbia scelto di scrivere proprio di film e serie TV, ma ho un bruttissimo vizio. Prima di scegliere cosa guardare e dove investire il tempo davanti ad uno schermo, mi documento. Anni fa, quando uscì il primo film di Harry Potter, decisi di iniziare a leggere il libro, in fondo, ero ancora una bambina e una storia in linea con la mia età mi avrebbe sicuramente appassionata.
Però, sono sempre stata sin troppo selettiva e, dopo essermi imposta di terminare la lettura, mi ripromisi di non guardare mai l’uscita cinematografica e di nascondere quel volume sotto mucchi e cumuli di letture più interessanti.
Non ho la pretesa di giudicare chi abbia amato questo franchise o di mettere becco sul perché sia la serie di libri più venduta di tutti i tempi. Semplicemente, è un mio parere, quello di una persona che si è avvicinata presto al fantasy e che, per la prima volta, ha trovato che le contraddizioni e le incongruenze fossero troppe, persino per un genere che intrinsecamente si basa proprio su questo.
Sono sempre stata abituata a leggere tra le righe di ogni libro una morale, anche in quelli più “leggeri” e, in questo caso, nonostante J.K.Rowling ci provi più volte, attraverso la scrittura, a lanciare messaggi positivi, la pigrizia con cui viene fatto fa venir meno qualsiasi buon proposito.
Ad esempio, ho notato un forte parallelismo nella vita di tutti i giorni. Il messaggio antirazzista inviato, mettendo l’accento sulle discriminazioni subite dai mezzosangue per mano dei purosangue, è fatto in maniera estremamente contraddittoria. Per definizione, leggendo i suoi libri, i maghi del mondo di Hogwarts sono geneticamente nati per essere migliori rispetto ai babbani, proprio per il modo in cui sono nati e le peculiarità che li contraddistingue. Come si può lanciare un messaggio antirazzista, promuovendolo al contempo?
Inoltre, questo viene riproposto nel momento in cui si passa alla figura degli elfi domestici, che vengono definiti come schiavi dei maghi umani. Sono succubi, sottomessi ed estremamente fedeli ai padroni che li maltrattano. Quando Hermione prova ad ottenere i diritti per liberarli dalla schiavitù, creando una organizzazione, sono gli stessi elfi a resisterle, optando per restare nella loro condizione. Subliminalmente viene riportata quella che definirei Sindrome di Stoccolma, in una sorta di loop in cui il cane si morde la coda e infrange nuovamente una promessa di lanciare un messaggio positivo.
Il fastidio di Harry Potter si allarga ai personaggi
Torniamo agli elementi che ho ritenuto banali e, probabilmente, sono quelli che più mi hanno provocato quell’incredibile fastidio alla bocca dello stomaco alla fine degli otto, lunghissimi, film della serie. Voldemort, che non si dovrebbe nominare, ma non voglio esimermi dal farlo, è il personaggio su cui dovrebbe ruotare tutta la vicenda. Lui è il villain, uno dei più abili cattivi nella storia del cinema della magia. Lo stesso malvagio, intelligente, scaltro e astuto che, da buon calcolatore quale dovrebbe essere, decide di nascondere gli horcrux, gli oggetti che contengono pezzi della sua anima, la cui distruzione lo avrebbe reso debole, in luoghi facilmente raggiungibili da dei bambini.
Praticamente, quasi venti ore di visione per ottenere, alla fine, che anche il Detective Pikachu avrebbe potuto trovare e distruggere i preziosissimi oggetti dopo mezz’ora dall’inizio del film, illuminando la zona con un tuonolampo?
Gossip Girl ad Hogwarts
Sempre per avere un parallelismo con la vita reale, passiamo al ruolo delle case di Hogwarts. Le confraternite in stile American Pie, dove Stiffler, uomo dalle mille donne, diventa Draco Malfoy, il prescelto più simile a Leone, il cane fifone, e il “miglio nudo” diventa il Quiddich.
L’odioso raggruppamento in case, è un’ulteriore dimostrazione della ghettizzazione dei personaggi, definiti in base ad un cappello che deciderà se da grande sarai Al Capone o Ghandi. Proprio questa divisione in squadre o, come sono state definite in altre pellicole, le confraternite, è stata più volte ripresa a livello cinematografico, per evidenziare le nette divisioni sociali o accademiche.
E, in Harry Potter, nonostante le case siano quattro, una cosa l’abbiamo capita: Grifondoro significa buono, Serpeverde vuol dire cattivo. E le altre? Perse nell’oblio. Eppure, a mio parere, se avessi studiato ad Hogwarts, avrei preferito auto-punirmi e affiancare il banco alla cattedra del professore, piuttosto che essere amica dei boriosi, già lanciati verso una vita di coraggio e moralità, o dei malvagi dal cuore tenero. Grifondoro, però, ha un ulteriore parallelismo con la vita reale. Chi ci capita, mezzosangue o purosangue, è destinato ad una vita di gloria, in un modo o nell’altro. E questo mi ricorda fin troppo quando, a scuola, chi portava un cesto di verdure dell’orto al professore, aveva già il 9 politico.
Perché, invece, non lanciare un messaggio differente, quello in cui, nonostante le differenze caratteriali e sociali, anche bene e male possono lavorare assieme, e perché non mettere in evidenza che tutti hanno la capacità di fare del bene?
Ancora una volta, quello che viene fuori è che si gioca semplicemente su stereotipi e sulla divisione di gruppo.
Perchè dovrei sprecare il mio tempo con Harry Potter?
Sono dell’idea che la lettura sia un modo per costruirsi un bagaglio culturale solido. Lo stesso parere ce l’ho per quanto riguarda il cinema. Ma, per quanto queste rientrino appieno nel mondo dell’arte, credo che questa sia tutta un’altra cosa.
L’arte dovrebbe essere un riflesso della vita reale o, almeno, una fonte di ispirazione per diventare persone migliori. Ogni volta che si scorre il dito sulle pagine di un libro e ci si concentra nella lettura, la sensazione che si dovrebbe provare è quella di incorporarsi ai pensieri e alle emozioni dei personaggi delle storie. Non deve, obbligatoriamente, rappresentare una sintesi delle nostre esperienze e dei nostri vissuti. Non per forza, una volta terminata la lettura, questa ci influenzerà nella vita di tutti i giorni, nonostante tutti ci lascino un segno emotivo.
Ho conosciuto persone che raccontano del lascito morale e mentale ricevuto dai libri di Harry Potter e, proprio oggi, a poche ore dalla fine della visione dell’ultimo film della saga, mi chiedo: perché non sfruttare modelli positivi? Perché questa saga che, analizzandola bene, nasconde messaggi tutt’altro che positivi, sia diventata così popolare tra i bambini e sia discussa ancora oggi? Le aspettative emotive promesse sono totalmente irrealistiche e utopiche, se rapportate alla vita reale.
E, in questo caso, non vale quello che si dice, cioè che la lettura possa permettere di estraniarsi dalla realtà, non quando è destinata ad una fascia di età che ha bisogno di stimoli positivi, di essere formata e di messaggi che lo aiuteranno a costruire la propria personalità.
Harry Potter è definito come speciale, fantastico. Ma non lo è, per niente, non lo sono nemmeno io.