Ho divorato i sei episodi della nuova serie Netflix Il Gattopardo in meno tempo di quanto serva a preparare una cassata siciliana. E non perché fosse leggera — tutt’altro. È intensa, stratificata, piena di quei silenzi densi che ti restano appiccicati addosso.
Sapevo che mi avrebbe colpita. Non sapevo che mi avrebbe fatto venire voglia di leggere un classico che, lo ammetto, ho sempre un po’ tenuto a distanza.
E invece eccomi qui, con l’edizione Einaudi sul comodino e una gran voglia di parlare di Concetta, di Tancredi, del Principe, delle giubbe rosse e di quella Sicilia calda e immobile come l’aria d’estate prima di un temporale.
Un Gattopardo al passo coi tempi… ma con la sabbia tra le dita
La miniserie firmata da Netflix prende l’iconico romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e lo rilegge con occhi nuovi. Non solo per la scelta registica o per i volti giovani, ma proprio per la prospettiva narrativa.
Mentre il libro ci fa guardare il mondo con gli occhi disincantati del Principe di Salina — uomo di scienza, di pensiero, spettatore rassegnato del crollo della sua classe — la serie si concede il lusso di spaziare. E al centro di questo sguardo c’è lei: Concetta.
Sì, proprio Concetta. La figlia silenziosa, troppo spesso relegata nell’ombra della bella Angelica. Nella serie la vediamo crescere, osservare, desiderare, arrabbiarsi e poi — forse — capire. E quello che capisce non è poco.
Concetta: uno sguardo femminile sul potere, l’amore e l’illusione
La Concetta della serie non è solo la cugina innamorata, né la figlia obbediente. È una ragazza che vive il Risorgimento da dentro le mura di un palazzo, ma con l’anima tutta protesa verso fuori.
Assiste al trionfo delle camicie rosse, alla retorica della libertà e dell’unità nazionale, e si chiede — come ci chiediamo anche noi — chi ci guadagna davvero. Chi comanda, chi ama, chi resta.
Il suo sguardo è quello dell’intelligenza femminile che non può agire apertamente, ma che vede tutto, registra tutto. È doloroso vederla innamorata di Tancredi, sì, ma è ancora più doloroso vederla comprendere, passo dopo passo, che l’amore romantico non basta. Non sempre vince. E spesso, mente.
In questa versione del Gattopardo, Concetta non è una figura di sfondo. È una coscienza.
Tancredi e le giubbe rosse: cambiare tutto per non cambiare nulla
E poi c’è lui, Tancredi. Giovane, affascinante, ambiguo. Figlio del tempo nuovo, ma anche perfettamente adattato al vecchio. È lui che pronuncia la celebre frase che riassume tutto lo spirito del romanzo:
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”
La serie lo mostra bene: Tancredi combatte con Garibaldi, indossa la divisa delle camicie rosse, abbraccia la rivoluzione. Ma è una rivoluzione comoda, calcolata. Cambia casacca, sì, ma non perde mai di vista il potere. E alla fine, sa esattamente dove mettere il cuore (o meglio, dove metterlo in cambio di qualcosa).
Il Risorgimento non è uno sfondo romantico: è un terremoto silenzioso, che travolge chi non sa adattarsi e regala occasioni d’oro a chi ha fiuto. Come Tancredi. Come Angelica. Come il nuovo mondo che avanza, senza troppi scrupoli.
Il Principe: un leone che sa di essere in gabbia
E Kim Rossi Stuart? Beh, qui c’è da fare una precisazione. Se pensi di trovarci il Kim elegante e dolce di altri ruoli, scordatelo. Il suo Principe Fabrizio di Salina è rigido, imponente, a tratti disturbante nella sua distanza emotiva.
Non consola, non sorride, non si piega. Osserva, riflette, si rifugia nell’astronomia e nei suoi pensieri, mentre il mondo cambia sotto i suoi piedi. È un uomo che ha già capito di aver perso, ma che non sa — o non vuole — cedere il passo.
C’è in lui una malinconia amara, ma anche una certa grandezza tragica. E Rossi Stuart lo incarna con una freddezza magnetica: un uomo che ama, ma senza lasciarlo vedere. Che capisce, ma senza intervenire. Che sente, ma si trattiene.
Il suo Gattopardo è maestoso. E sconfitto.
Romanzo vs serie: un confronto inevitabile
Chi ha letto il libro nota subito alcune differenze. Non solo nei dettagli della trama, ma nel tono.
Il romanzo è lento, quasi musicale, pieno di descrizioni che ti avvolgono come l’afa estiva. La serie invece ha bisogno di ritmo, di dialoghi, di tensioni visive.
E allora arrivano le scene aggiunte, i punti di vista alternativi, le sottotrame. A volte funzionano, a volte sembrano un po’ forzate. Ma nel complesso, l’adattamento regge. E incuriosisce.
👉 Se vuoi sapere qualcosa in più sull’autore, ti lascio questo link che racconta la figura affascinante e misteriosa di Tomasi di Lampedusa:
🔗 Chi era Giuseppe Tomasi di Lampedusa – Treccani

Il cast: una nota a parte (meritata)
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Kim Rossi Stuart è, come detto, impenetrabile e solenne.
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Saul Nanni, nei panni di Tancredi, incarna perfettamente la doppiezza di chi vuole salvarsi adattandosi.
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Deva Cassel, con il volto magnetico ereditato da mamma Bellucci, è una Angelica sensuale e moderna.
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Ma è Benedetta Porcaroli, nei panni di Concetta, a sorprendere davvero. Intensa, misurata, profonda. Ci accompagna passo passo dentro un cambiamento tutto interiore. E ce lo restituisce con gli occhi.
Conclusione: da vedere? Assolutamente sì.
Questa serie è un invito. Non una lezione di storia, non una copia del film di Visconti, non un compitino ben fatto. È un’opera a sé, che dialoga col passato e lo reinterpreta.
Ti fa venir voglia di Sicilia, di politica, di grandi amori e di piccoli tradimenti. Di leggere e rileggere quel passo in cui il tempo si ferma e ci ricorda che, in fondo, tutto cambia solo in apparenza.
E tu?
Hai già fatto questo viaggio tra velluti, stelle, battaglie e salotti?
Io ho iniziato con la serie. Ora mi aspetta il romanzo. E so già che sarà un altro tipo di amore.