Col passare degli anni, sono cambiate le mode, le aspirazioni e le tendenze. È cambiata anche la pubblicità, ma anche l’approccio a certe tematiche. Iniziamo un viaggio nei controversi anni Cinquanta.
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Ahhh gli anni Cinquanta: gli anni del dopoguerra, del benessere economico, della musica rock, della Vespa e della Cinquecento, della moda ancora copiata oggi.
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Nell’immaginario collettivo gli anni Cinquanta vengono ricordati come una decade importante, nonostante fosse piena di contraddizioni. Nonostante la Guerra Fredda, il timore di un attacco nucleare ed un razzismo dilagante, quelli erano gli anni del benessere economico, della ricchezza e dell’uscita (finalmente) dalla guerra.
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Anche la pubblicità fu colpita da questa rinascita sociale, culturale ed artistica, difatti gli anni Cinquanta sono anni molto floridi per la comunicazione pubblicitaria.
Un ruolo importante è dato alla figura femminile. Con l’avvento della società post-moderna, nasce il binomio bellezza femminile-pubblicità.
La pubblicità ha l’obiettivo d’influenzare i comportamenti e le credenze del pubblico, e per far veicolare il messaggio, si allega la figura femminile (specialmente il suo corpo), che è usata, per la maggior parte delle volte, in maniera spropositata ed inadeguata.
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Così come nella società, anche nella pubblicità si vede il cambiamento del ruolo della donna: da madre di famiglia degli anni Venti a vera bossy-girl dei nostri giorni.
Ma negli anni Cinquanta, la donna viene paragonata, nelle pubblicità, solo ad un ornamento: una figura che deve strizzare l’occhio al pubblico per invogliarlo a comprare.
Negli anni Cinquanta, la donna ha una duplice “identità”: quella di angelo del focolare, che deve pensare solamente al benessere di suo marito e dei suoi figli ed a mantenere la casa; oppure, come oggetto sessuale, che deve sedurre il pubblico.
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Molte pubblicità di questi anni dipingono la donna come “inferiore” all’uomo, una figura facilmente domabile, che deve stare ai servizi dell’uomo che porta i soldi a casa. L’uomo viene rappresentato come capofamiglia, come vero fulcro e tutte le pubblicità a lui dirette sono veicolate da un messaggio semplice:
“L’uomo è superiore alla donna”.
Così vediamo decine e decine di pubblicità nelle quali la donna viene ridotta ad essere un tappeto, una donna che deve pensare solo al suo uomo, una donna angelo del focolare che non vede l’ora di ricevere per regalo una lavastoviglie.
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Lo slogan dice: “Gli uomini si chiedono; “È carina?” non “È intelligente?” per indicare lo status di mero oggetto della donna che deve solo compiacere chi la guarda, senza alcun interesse alla sua intelligenza ed ai suoi interessi.
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Qui lo slogan recita: “È bello avere una ragazza in giro per casa”. La pubblicità raffigura una donna al posto di una pelliccia usata come tappeto, con un uomo che le schiaccia la testa. Un altro esempio di come la donna veniva considerata solo come mero oggetto.
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Lo slogan recita: “Vuol dire che una donna riesce ad aprirla?”. La pubblicità diceva che queste bottiglie chiuse con un tappo di alluminio potevano essere aperte facilmente senza l’aiuto di un coltello e senza “l’aiuto di un valoroso uomo”, rendendo facile l’azione anche ad una “debole donna”.
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Non solo, le pubblicità negli anni Cinquanta mostravano normalmente anche la violenza domestica. Nello slogan si afferma: “Se tuo marito scoprisse che non stai cercando il miglior caffè…”. Nell’immagine viene raffigurato un uomo che sta per picchiare sua moglie, colpevole solamente di aver comprato un’altra marca di caffè, rispetto a quella pubblicizzata.
La donna era raffigurata come una figura che si occupava solamente della casa, dei figli e di far trovare una buona cena al marito, al ritorno dal lavoro.
Ma non è tutto.
Le pubblicità degli anni Cinquanta non si limitano a rendere palese il sessismo di quella generazione.
Le pubblicità di quegli anni sono anche ricche di messaggi razzisti contro ogni tipo di etnia, pieni di luoghi comuni ed in alcuni casi, anche con tracce di pedofilia. Oltre ad invogliare il pubblico a rendere normali dei vizi nocivi, come il fumo.
Molti pubblicità di saponi e detergenti rappresentavano individui con la pelle nera, per evidenziare la loro funzione “smacchiatrice”, molte volte sono paragonati alle bestie o comunque a degli individui senza istruzione, sicuramente inferiori al “maschio bianco”.
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Nella pubblicità di un sapone, il bambino chiede al bambino nero: “Perché la tua mamma non ti lava col sapone Fairy?”. Lo slogan esalta la supremazia dei bianchi ed afferma che chi ha la pelle nera sia solamente “sporco”.
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“4 uomini su 5 le vogliono”. Questo è lo slogan di un marchio di camicie che esalta la cultura ed il progresso degli uomini bianchi, rispetto agli uomini neri. L’uomo nero viene rappresentato in maniera retrograda che rispecchia il concetto di quegli anni.
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“Soffice come un bebè. Perché l’innocenza è più sexy di quanto credi”. Recita così lo slogan di un profumo degli anni Cinquanta. Il marchio non si fa scrupoli ad utilizzare il volto truccato di una bambina, rendendola oggetto sessuale per il pubblico.
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“Prima che mi rimproveri mamma, forse dovresti fumarti una Marlboro”. Questo è solo uno dei tanti esempi di pubblicità a favore del fumo, quando ancora non era considerato nocivo dal grande pubblico. In questo caso vediamo lo slogan pronunciato da un bambino di piccola età.
Gli anni Cinquanta, nell’immaginario comune, vengono sempre ricordati con una certa malinconia e vengono considerati un decennio meraviglioso. Ma la condizione storica fatta d’incertezze ed ipocrisia si rispecchia, come abbiamo visto, nel mondo pubblicitario. “L’uomo bianco” viene considerato superiore a tutti e chi non rispecchia questo canone, viene trattato come inferiore.
Il mondo pubblicitario degli anni Cinquanta ci ha regalato pubblicità iconiche, ma anche delle pubblicità che, ad oggi, non supererebbero alcun test di ammissione.
E voi ricordate qualche vecchia pubblicità che, ad oggi, vi farebbe rabbrividire?