Questo weekend si è svolto il XIII Congresso sulla Famiglia: fra esaltati e proposte che ci riportano indietro di trent’anni, vediamo cos’è successo a Verona questi giorni.
Dal 29 al 31 marzo si è tenuto nella città di Verona il XIII Congresso delle Famiglie, un evento pubblico internazionale che ha l’obiettivo di unire e far collaborare i leader per celebrare la famiglia naturale, come unità stabile e fondamentale.
Le tematiche affrontate dai sostenitori del Congresso sulla Famiglia si basavano sulla bellezza del matrimonio, i diritti dei bambini, la figura della donna, la crisi demografica e le politiche per la famiglia e la natalità.
La manifestazione ha attaccato duramente la legge 194 sull’aborto, le unioni di fatto, la pratica dell’utero in affitto e la struttura della famiglia, diversa da quella definita dai sostenitori come “naturale”, ovvero composta da mamma, papà e prole.
La manifestazione si è chiusa domenica con la marcia partita da piazza Bra, a cui hanno partecipato, secondo gli organizzatori, più di 10mila persone.
La marcia si è raccolta dietro a tre grandi cartelli intitolati: “Dio”, Patria” e “Famiglia”.
Al corteo ha, ovviamente, partecipato Massimo Gandolfini, leader del Family Day.
E, mentre una delle sue quattro figlie, Maria Gandolfini, sfilava col corteo transfemminista per le vie della città, l’altra figlia, Loretta, in linea con le idee del padre, sfilava per la famiglia naturale, insieme ai suoi figli.
Massimo Gandolfini si è scagliato contro la legge 194 sull’aborto, affermando che, dal 1978, sono stati uccisi oltre 6 milioni di embrioni; Gandolfini si è espresso anche contro la pratica dell’utero in affitto, definendola come:
“una pratica vergognosa, criminale, barbara e tribale”.
Gandolfini ha sottolineato l’obbligo di proteggere i bambini che
“non devono diventare oggetti di compravendita, di abusi sessuali e pedopornografia e bisogna stare attenti che non ricevano un’educazione che non metta in discussione la loro identità sessuale biologica e non li induca a una sessualizzazione precoce”.
Parole che colpiscono soprattutto per l’infondatezza delle basi su cui si pongono: si afferma forse che, dei figli dati ad una coppia omosessuale o ad una famiglia, che non risponde ai canoni voluti dalla tradizione, possa indurre il bambino ad avere una sessualizzazione sbagliata in età precoce?
Gli attacchi sono stati chiari e lampanti: le donne che scelgono di abortire sono delle assassine e due uomini o due donne non possono avere dei figli, perché impartirebbero devianze sessuali alla prole.
Il tutto è stato fatto attraverso una manifestazione con cartelloni e palloncini, con genitori che portavano i propri figli in passeggino, mentre gridavano slogan tipo: “Abbiamo Gesù nel cuore”.
Alla manifestazione hanno partecipato individui chiaramente con idee confuse e pericolose, come la donna che affermava che l’omosessualità sia una malattia, che gli omosessuali devono essere curati, altrimenti il loro posto è l’inferno (il tutto detto con una statua della Vergine sotto braccio) o il vescovo di Verona che considera l’aborto come un delitto.
Ma se i sostenitori della famiglia naturale affermano che questi siano solo pochi individui esaltati, mandati dalle lobby per screditare la manifestazione, allora come possiamo considerare la scelta di distribuire feti di gomma, che rappresentano un embrione di dieci settimane, il tutto abbinato con la scritta “L’aborto ferma un cuore che batte”?
Tra i nemici, indicati dal Congresso sulla Famiglia, c’è sicuramente la stampa, rea, secondo loro, di “manipolare le notizie e parlare male di quest’evento e di mettere in atto intimidazioni mediatiche.”
Nonostante il premier Salvini abbia specificato che la legge 194 non si tocca, fa strano pensare alla presenza del leader politico e di altri importanti rappresentanti politici ad una manifestazione per la famiglia tradizionale, quando questi non ne hanno: possiamo tranquillamente dire che si tratti di un “parlare bene e razzolare male”.
Fortunatamente, erano tanti i presenti a manifestare contro le idee retrograde presentate al Congresso, tra cui diversi gruppi femministi, come “Non una di meno”.
Verona è diventata, da anni, polo di politiche antiabortiste e contro l’uguaglianza di genere.
Sembra paradossale quello che è successo in questi giorni a Verona, somigliante più ad un panorama alla 1984 di George Orwell o al libro Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood.
Le conquiste sulla legge sull’aborto e quella sul divorzio (sì, è stato messo in dubbio anche il divorzio) sono il frutto di anni di lotte, da parte di donne e uomini, che hanno combattuto per questi diritti ed ora, c’è chi dipinge come assassine le donne che scelgono di abortire, nonostante sia una scelta dolorosa.
E invece di essere assistite, anche per via psicologica, si decide di dipingerle come assassine, come se non avessero libero arbitrio sul proprio corpo, come se dovessero far decidere qualcun altro sul proprio corpo.
Per non parlare della vergognosa campagna anti omosessualità, rappresentata come una malattia da curare e da estirpare.
Tutto queste idee retrograde e medievali vengono mascherate da palloncini, cartoncini colorati e sfilate con bambini, come se tutto fosse una grande festa e non un tentativo di sottrazione dei diritti altrui.
Il tema dell’aborto e dell’utero in affitto sono temi delicati, che possono trovare contrasti con scelte etiche, religiose e personali, ma nessuno obbliga alcuna donna a scegliere queste vie, si richiede soltanto la libertà di dare la scelta a chi, invece, vuole farlo.
Questo è il riassunto del Congresso sulla Famiglia di Verona degli ultimi giorni: c’è chi chiede dei diritti, c’è chi chiede la libertà sul proprio corpo e sulle proprie scelte e c’è chi questi diritti e questa libertà non vuole concederle.