“In un mondo di John e Paul, io sono Ringo Starr”.
Un verso del ritornello, ed è subito danza.
Non quella sensuale, tipica delle danze carioca, ma spensierata, scanzonata e, forse, anche un po’ irriverente.
I Pinguini Tattici Nucleari, ieri sera, nella notte della seconda serata del Festival di Sanremo, hanno calato l’asso di briscola, sfoderando quello che sarà il tormentone di questa edizione della gara canora per antonomasia del Bel Paese.
Ringo Starr non è solo un singolo, ma è un inno dedicato a tutti quei trentenni stanchi dell’atavica depressione caratteristica della nostra età.
Un grido nascosto dietro il tribute ai Beatles: siamo tutti Ringo Starr
Un messaggio forte cantato dalla band bergamasca con estrema leggerezza.
Il brano è composto da due strofe principali, stracolme di citazioni rivolte alla generazione dei millennials, e collima in un ritornello orecchiabile, affabile e che salta subito all’orecchio. Non è la classica canzone da radio, perchè nonostante scorra leggera per tutta la sua durata, nasconde un messaggio ben più profondo: non è necessario essere dei fenomeni per godersi la vita.
La realtà dei millennials sovvertita da una canzone
Gli anni 2000, per noi giovani, rappresentano degli Hunger Games trasportati nella vita di tutti i giorni. Un’eterna lotta per la supremazia, con il solo scopo di primeggiare sull’altro al fine di essere i migliori. Un torneo degno del miglior Tenkaichi. Con una disoccupazione (giovanile) ai massimi storici ed un’incapacità conclamata della classe politica di risolvere tale emergenza, si può dire che solo i migliori possano, alla fine, primeggiare. Il trofeo è una cosa tanto scontata, quanto banale: il proprio posto nel mondo.
Qui, si nasconde la vera genialità della canzone. Zanotti non ha creato solo un pezzo orecchiabile, ma un brano che inneggia proprio al non voler perpetuare in questa disputa. Accettarsi così, come si è. Questo è il vero messaggio che ci hanno lanciato i Pinguini Tattici Nucleari dal palco dell’Ariston. Senza la pretesa di apparire, la necessità di mostrarsi o di trasformarsi nel capo branco. Senza inseguire quel maledetto ruolo di alfa tanto agognato.
In un mondo di John e Paul, possiamo essere felici di ritenerci dei “normalissimi” Ringo Starr.