Il 2000 ha rappresentato un anno di svolta nella lettura della società. Le differenze di genere, con il passare degli anni, stanno decadendo in ogni settore. Gli stereotipi, che hanno accompagnato le generazioni antecedenti alla nostra attraverso detti popolari e credenze infondate, sono stati smontati quasi uno ad uno. Quasi, perché nel pensiero collettivo la sfera videoludica rimane un’esclusiva quasi integralmente maschile.
Ragazze e videogames: storia di un mercato quasi esclusivo
Osteggiate, discriminate e persino bullizzate. Ragazze e videogames sono quasi sempre stati associati a due mondi distinti e separati, due rette parallele destinate a non incontrarsi mai. Come tutti gli stereotipi di genere, anche questo dogma sta venendo meno, pezzo dopo pezzo.
Sono sempre di più infatti le ragazze che possono definirsi delle vere e proprie campionesse di e-games. I numeri, in fondo, parlano chiaro: le gamers rappresentano circa il 45% dei players totali.
Un grosso passo avanti, in questo senso, è stato fatto dalla maggiore accessibilità che hanno avuto le ragazze alle console di nuova generazione.
Negli anni ’80, infatti, i cabinati erano un’esclusiva prettamente maschile. In questo senso, Donkey Kong è il gioco per antonomasia.
Prodotto per la prima volta nel 1981, il prototipo dei moderni JRPG può essere riassunto in poche battute: eroe, salva la principessa dal mostro.
Sulla stessa corrente si è sviluppato The Legend of Zelda e un’altra vastissima gamma di titoli che ha riempito gli scaffali per tutti gli anni ’90. La prima vera protagonista femminile è arrivata solo nel 1996: Lara Croft, interpretata durante la campagna marketing da Alison Carroll.
Caratteristiche principali?
Abiti succinti e una costruzione in grado di attirare l’attenzione di qualsiasi maschio. Non è lei l’eroina di cui abbiamo bisogno.
I primi videogiochi dedicati a entrambi i sessi: la vittoria delle videogiocatrici
Nonostante l’eclatante connotazione machista di questi titoli, ragazze e videogiochi devono il successo del proprio binomio proprio a questa epoca.
Come avviene per tutti gli egames, i campioni sono spesso giovanissimi, ragazzi di età compresa tra i 15 e i 20 anni. Sono loro i veri talenti di videogiochi, pronti a stupire il mondo con combinazioni quasi sovrannaturali.
Questi giovani players, però, sono i figli di quella generazione, di quel primissimo approccio, arcaico e dal sapore patriarcale, a un mondo che oggi viene vissuto in maniera egualitaria. Era un passo, a malincuore, necessario, poiché rispecchiava i canoni di quella società, di quella visione del mondo.
Essere figli di quella generazione, significa, in maniera molto banale, accedere alle console con molta più facilità. Inoltre, ad oggi, telefoni e computer rappresentano gli strumenti preferiti di una vastissima fetta di videogiocatori. Chi non ne possiede uno, al giorno d’oggi?
Ragazze e videogiochi, nonostante i grandi passi avanti fatti negli ultimi anni, sono ancora vittime di stereotipi. Tralasciando gli e-sports, in cui la connotazione prettamente maschilista è dovuta alla maggiore visibilità che viene data a questi mercati, le grandi major videoludiche stanno coniando sempre più giochi in cui le differenze di genere vengono abbattute.
Iconica, ad esempio, è la domanda del Professor Oak in Pokemon Cristallo: “Sei un bambino o una bambina?” Una questione apparentemente banale, quasi scontata e che suscitava grande ilarità nei giovanissimi. In realtà, questa ha rappresentato una svolta epocale, poiché permetteva anche alle ragazze di vivere la propria avventura preferita nei panni che più si addicevano.
I titoli che hanno seguito questa onda sono stati davvero una moltitudine e la grande fortuna che hanno le nuove generazioni è quella di vedere, finalmente, personaggi femminili concreti, profondi, con una storia alle spalle che non sia, necessariamente, di violenza e che, soprattutto, sia credibile.
Ragazze e videogames: l’online è l’ultimo scoglio da abbattere
Nonostante questo, appena il 30% delle ragazze si affaccia al mondo del multiplayer online. Quello competitivo, che porta i videogiocatori a diventare dei professionisti e guadagnare attraverso la propria passione. Questo succede a causa di frequenti attacchi di cyberbullismo, specie in giochi violenti, come gli sparatutto o MOBA (Multiplayer Online Battle Arena).
Iconici sono alcuni video disponibili sulla piattaforma di streaming Twitch, dove le giovani streamer mostrano il trattamento che viene riservato loro da alcuni colleghi. In media, infatti, le ragazze subiscono il 30% in più delle molestie verbali rispetto ai ragazzi, rappresentando però meno di un terzo dei giocatori online totali.
L’estrema difesa di questa aura di machismo è l’ultimo stereotipo che ragazze e videogames devono abbattere.
Le case di produzione si sono rese conto che la metà del proprio pubblico è donna, che anche le ragazze investono ingenti quantitativi di denaro in e-games (si parla di un volume di affari totale di undici miliardi di dollari l’anno) e che anche le industrie di accessoristica per i videogiochi stanno sfornando prodotti sempre più idonei a questa fascia di pubblico. Gli unici che devono ancora capirlo, a quanto pare, sono i videogiocatori stessi.