Un breve soggiorno nella città sacra
Quella mattina, tornai alla guest-house una vota finita la colazione e preparai lo zaino per ripartire per Hariward.
Salutai i ragazzi che avevo conosciuto in quel frangente e mi diressi verso la stazione dei treni. Purtroppo le sorprese non erano finite.
Infatti, arrivato al binario, notai una persona che sembrava dormisse distesa su di una panchina, ma non ci feci molto caso in quel contesto e continuai a passeggiare su e giù in attesa del treno per Haridwar.
Purtroppo, di lì a poco, si presentarono due ragazzini muniti di una coperta, che prelevarono quel cadavere e lo portarono via. Rimasi sconvolto.
L’approccio con la morte è un po’ una delle realtà più tristi, ma anche la più vera dell’India, nel senso che soprattutto in certe città viene vissuta molto intensamente e il rituale funerario è uno degli elementi fondanti di tutta la pratica religiosa.
Notai un’altra turista che, come me, prendeva quel treno e si sedette nella mia stessa carrozza.
Accanto a me stava seduto un ragazzo sikh dagli splendenti occhi azzurri, con una folta barba castana che gli incorniciava il viso. Iniziò a parlarmi, ma non mi sentii subito a mio agio, infatti mi domandò se fossi solo ma io mentii e gli dissi che stavo viaggiando con la turista che si era seduta nel nostro scompartimento.
In realtà, non aveva nessuna cattiva intenzione,e vide che al collo indossavo una sorta di mantra: una collana fatta di 108 perle di legno che di solito si usa per meditare. Così mi consigliò, molto gentilmente, di usarla “use it!” e mi insegnò un mantra shivaita molto praticato: Om namah shivaya.
Fui molto sollevato una volta conosciuto il suo intento, continuava a fissarmi negli occhi ripetendomi: “use it!” e gli confessai che in realtà viaggiavo da solo.
(continua)