Mercoledì sera è andato in onda il Grande Fratello Vip. Aggiungerei purtroppo poiché è stato sferrato un ennesimo colpo alla figura femminile nel nostro paese. Evidenziando la ancora attuale arretratezza nella quale riversa il suo ruolo. Sottolineando maggiormente quanto sia difficile, ogni anno che passa, avere la possibilità di conciliare la maternità con la professione.
Adriana Volpe, attrice e conduttrice, durante la trasmissione della casa più spiata d’Italia, ha dichiarato che nei contratti firmati fino al 2012 con la RAI, in caso di gravidanza, l’azienda poteva decidere di recidere il contratto.
In effetti le normative vigenti sulle lavoratrici in stato interessante e sulle lavoratrici madre impongono alla puerpera di comunicare immediatamente lo stato, in modo tale da tutelare la lavoratrice stessa e di renderle maggiormente confortevole la postazione di lavoro, oppure ancora destinarla temporaneamente, ad un ruolo differente, all’interno dello stesso ambiente di lavoro, un po’ meno faticoso per lei, e per niente dannoso per il nascituro.
Ma il caso non è questo. Parliamo di un contratto di lavoro presso una emittente televisiva che, evidentemente, si interessa solo e soltanto dell’aspetto fisco ed estetico delle sue conduttrici.
La “clausola gravidanza” è un espediente limitante e vessatorio nei confronti di donne che hanno voglia di lavorare. Le lavoratrici si trovano a dover fare una scelta non troppo semplice. La carriera o i figli. Come se in questo momento storico fosse semplice percepire guadagni. Come se avere dei figli non imponesse la responsabilità di aver dei soldi per poter garantire loro una vita serena, dando loro tutto ciò che è necessario.
Ad Adriana Volpe, personaggio pubblico, è andata bene, poiché dopo il 2012 ha ottenuto la modifica del contratto. Mi duole però considerare che non tutte le donne che subiscono un contratto del genere hanno la forza economica per poterlo mettere in discussione.
Per arrivare a vederlo modificato. Per non temere un licenziamento in tronco in vista della gravidanza.
I contratti discriminatori come questo sono delle velate minacce, delle sudditanze psicologiche. Vanno combattute strenuamente e senza esclusioni di colpi. Mi auguro che la legge si prodighi in merito per evitare che questo genere di contratti vengano più redatti, e che così si possa finalmente fare un passo in avanti verso la civiltà.