Ciò che sta succedendo negli Stati Uniti va oltre alla semplice protesta: è l’urlo disperato di chi sta soffrendo per mano di un violento. Vediamo insieme la situazione.

george-floyd-5-1140x777-1-320x218 Il diritto di opporsi: le manifestazioni negli USA per la morte di George Floyd
Fonte foto: LifeGate

Saremmo ciechi e sordi se non sapessimo cosa sta succedendo attualmente negli Stati Uniti: proteste in diverse città americane, strade assediate, edifici incendiati.

Tutto è iniziato il 25 maggio scorso, a Minneapolis, quando George Floyd, un 46enne afroamericano, è stato ucciso dopo essere stato fermato dalla polizia per una banconota falsa. Floyd era uno dei tanti americani rimasti senza lavoro a causa del Covid-19 e il 25 maggio ha cercato di usare una banconota falsa da 20 dollari per comprare le sigarette. Floyd era in arresto, ma il poliziotto Derek Chauvin ha deciso di credere che fosse pericoloso e di bloccarlo a terra con un ginocchio sul collo, per 8 minuti, 8 infiniti minuti.

Floyd è morto, ucciso da Derek Chauvin e no, non è stato un incidente. L’uomo continuava a dire di non riuscire a respirare, ma l’agente di polizia Chauvin non si è mosso di un centimetro.

George Floyd è morto sul freddo asfalto, ucciso per il colore della pelle, sotto gli occhi di tutti.

 

NINTCHDBPICT000585346846-12-e1590759157950-317x480 Il diritto di opporsi: le manifestazioni negli USA per la morte di George Floyd
Fonte foto: The Sun

 

La scena, infatti, è stata ripresa da alcuni testimoni, che hanno messo il video online. Ed è scattata la rivolta.

George Floyd non è il primo e, anche se ci augureremmo il contrario, non sarà l’ultimo afroamericano ucciso dalla polizia bianca, per il colore della pelle.

La morte di Floyd ha innescato una serie di proteste in tutti gli Stati Uniti: viene chiesta giustizia per George e per tutti quegli afroamericani uccisi dalla polizia a causa del razzismo.
Ad oggi sono state blindate ben 25 città americane, con migliaia di fermi. Tra le città assediate c’è anche Washington, dove i manifestanti sono arrivati alla Casa Bianca, dalla quale è stato prelevato il presidente Trump da ormai alcuni giorni e portato nel bunker. Trump, nei giorni scorsi, ha attaccato i manifestanti, chiamandoli anche terroristi e minacciando di usare la forza (sparando sulla folla e mandando l’esercito) se i sindaci delle varie città americane non fossero riusciti a tenere tutto sotto controllo.

LP_11370301-scaled-1-320x213 Il diritto di opporsi: le manifestazioni negli USA per la morte di George Floyd
Fonte foto: Il Riformista

In varie città americane, tra cui la stessa New York, è scattato il coprifuoco, una misura impressionante per una città così grande, poiché ci sono stati diversi assalti alle vetrine dei negozi, già chiusi per il lockdown. Ma chi svuota i negozi di grandi marchi (Nike o lo stesso Macy’s) non è lo stesso che manifesta per George Floyd.

È noto, infatti, che alcune frange violente si siano infiltrate nei manifestanti per creare disordini e dare la colpa alle manifestazioni iniziate in modo pacifico: è stato riscontrato che alcuni di questi criminali facciano parte di frange di estrema destra, mentre per Trump, i criminali appartengono a frange di estrema sinistra. Il presidente ha condannato gli estremisti di sinistra di Antifa come “ladri, criminali e incendiari” (ha praticamente dato dei criminali agli antifascisti).

Le manifestazioni per chiedere giustizia sulla morte di George Floyd sono iniziate pacificamente. Ma è facile trovare sul web diversi video di angherie e violenze della polizia americana nei confronti di manifestanti non violenti. Gesti che invocano il “white power”, spray al pepe spruzzato su manifestanti innocui, percosse anche su singoli manifestanti con un semplice cartello in mano.

Sono diversi i profili su Instagram e su Twitter che seguono la vicenda, raccogliendo materiale video sulle violenze che perpetra la polizia americana sugli afroamericani. Uno di questi è quello di Shaun King su Instagram: Shaun è un ex giocatore di football americano e in questi giorni sta raccogliendo diversi video che mostrano la violenza della polizia americana su semplici manifestanti che stanno facendo valere la loro voce in modo pacifico.

Ma non sono solo i manifestanti a subire violenze, ma anche la stampa. Sempre su Twitter possono essere trovati numerosi video di giornalisti a cui viene puntata un’arma addosso mentre stanno facendo semplicemente il loro lavoro: informare. È noto ormai a tutti l’arresto del giornalista afroamericano della CNN Omar Jimenez, arrestato alcuni giorni fa con la sua troupe mentre riferiva in diretta delle proteste a Minneapolis.

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Fonte foto: lovebscott,com

Quindi, quello che tutti ci chiediamo, è anche l’informazione ad essere in pericolo? Se il presidente Trump e le forze di polizia credono che ci sia bisogno di violenza per sedare gli animi, perché oscurarli alle telecamere e perpetrare violenza anche contro la stampa?

Forse sono consapevoli anch’essi di essere nel torto e se la stampa non può raccontare ciò che sta succedendo, narrando semplicemente i fatti, allora non siamo forse in una dittatura?

Occorre ricordare, però, che non si tratta di una lotta tra manifestanti e polizia, infatti sono tantissimi gli agenti che si sono schierati dalla parte dei manifestanti e che hanno marciato insieme a loro, come lo sceriffo Christopher Swanson, il quale, dopo essersi liberato di casco e manganello, si è unito alla protesta. E Swanson non è l’unico, molti agenti continuano a sostenere che il loro lavoro sia quello di aiutare le persone e non perpetrare violenza.

hires12976101-largejpg_fwmz-320x213 Il diritto di opporsi: le manifestazioni negli USA per la morte di George Floyd
Fonte foto: Mashable Italia

 

Ma allora la colpa di chi è?

Nel 2018 sono morti 500 afroamericani per mano della polizia americana: semplici fermi o reati innocui (come un furto) si sono trasformati in omicidi. Di certo la liberalizzazione delle armi negli Stati Uniti è un punto dolente: chiunque può comprare un’arma, perciò ci vuole molto poco nel rendere la strada di una metropoli americana in una scena da Far West.

Ma il vero problema è che negli Stati Uniti, Paese che continua a millantare di esportare democrazia nel resto del mondo, c’è ancora una forte indole razzista e suprematista. In un Paese così variegato di etnie, il razzismo è alle stelle e per questo avvengono fatti simili, come quello di George Floyd.

Se per anni gli afroamericani sono stati vessati dalle violenze, appare quasi comprensibile una presa di posizione così forte nei confronti del governo, soprattutto se al capo c’è un presidente come Donald Trump, notoriamente razzista e maschilista.

Trump accusa gli anarchici e la sinistra estrema della violenza, ma tutto il malessere e la voglia di cambiare le cose sono state innescate da troppa violenza perpetrata negli anni nei confronti degli afroamericani. Ogni afroamericano si chiede “Sarò io il prossimo?”, perché non conta non aver fatto nulla di male, un colpo di pistola o un soffocamento sono all’ordine del giorno.

Dal canto nostro, anche l’Italia, così come l’Europa, ha diversi episodi di razzismo quotidianamente. Ma il caso di George Floyd non ci deve far voltare la testa perché è accaduto in America. Angherie del genere e violenze di questo tipo accadono ogni giorno, ovunque ed è il momento di dire basta.

Se siamo neutrali in situazioni del genere, se voltiamo la testa dall’altra parte, diamo ragione all’oppressore.

Manifestiamo anche noi, anche in piccolo, il nostro disgusto per l’omicidio di George Floyd e di tutti quegli afroamericani uccisi dalla polizia americana.
Per lui e per tutte le vittime che ci sono state e che, speriamo, non ci saranno più.

Che gli Stati Uniti diventino il Paese democratico che tanto millantano di essere.

“I can’t breathe”

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